Toscana

A Firenze si parla di Africa

Delegati di trenta stati africani e numerosi rappresentanti delle assemblee legislative europee si sono incontrati venerdì 17 e sabato 18 settembre a Firenze nella splendida cornice del salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, per la prima Conferenza delle assemblee regionali europee e africane. Democrazia, decentramento e pace i temi al centro dell’incontro. Oltre 100 le delegazioni ufficiali in rappresentanza di 33 paesi africani per discutereo le modalità con cui attivare la collaborazione istituzionale dal basso e la maniera in cui coordinare le azioni di enti pubblici e privati in Africa. Ecco una sintesi degli interventi.

Il David di Michelangelo è stato scelto dal presidente del Consiglio regionale della Toscana, Riccardo Nencini, a simbolo della conferenza: “La celebre statua – ha detto Nencini – è un simbolo di libertà; la sfida dell’uomo al gigante e la sua vittoria rappresentano una battaglia di civiltà.” “L’obiettivo di questo appuntamento – ha continuato Nencini – è coordinare l’intensa attività di relazioni internazionali e di siglare nuovi accordi di cooperazione tra la Toscana e le regioni africane. L’intenzione è quella di costruire una concreta collaborazione istituzionale che consenta a molte realtà locali africane di affrontare la questione decentramento con il sostegno di chi tratta la materia ormai da diversi anni.”

“Valorizzare la funzione di promotori di interventi di cooperazione, di solidarietà internazionale e di interscambio delle autonomie favorisce nel mondo un modello che ha nelle comunità locali la prima garanzia di pace e di prosperità condivisa per uno sviluppo sostenibile.” Con queste parole il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha espresso il suo apprezzamento per il summit fiorentino al presidente del Consiglio regionale della Toscana, Riccardo Nencini. “L’Unione Europea – ricorda Ciampi – ha raccolto le indicazioni sulla cooperazione decentrata introdotta dalla IV Convenzione di Lome e dalla conferenza euromediterranea di Barcellona e ha destinato risorse finanziarie per realizzare progetti in cui poteri decentrati, autonomie locali e società civile sono direttamente responsabili.” Il Presidente ha inoltre aggiunto come la conferenza sottolinei il ruolo essenziale che i sistemi territoriali rivestono nei nuovi processi di crescita mondiale.

La prima giornata della ConferenzaA portare i saluti del sindaco di Firenze Leonardo Domenici, l’assessore alla cultura e alla cooperazione internazionale Simone Siliani: “Parlare di Africa non è parlare di un continente lontano ma del nostro destino comune. E’ dal decentramento che devono alimentarsi la pace e lo sviluppo. La cooperazione decentrata è una cooperazione tra comunità di persone, basata sulla collaborazione per le scelte di uno sviluppo reciproco, di democrazia in un ambiente favorevole. Proprio stamani il sindaco di Firenze Domenici sta siglando un protocollo di cooperazione tra Firenze e Asmara.” Il presidente Nencini ha infine sottolineato la necessità di creare un seguito a questo evento con una seconda e anche una terza conferenza internazionale.

“Pensiamo e sentiamo l’Africa e l’Europa come vicine, molto più vicine di quanto troppo spesso si pensa. Veniamo da un passato che è stato molto spesso, nel bene e nel male, comune, intrecciato da mille fili. Viviamo in un presente dove solo una straordinaria miopia può evitare a noi europei di vedere la realtà. Abbiamo di fronte un futuro che solo se sarà costruito assieme potrà essere di pace, di sicurezza e di giustizia per tutti”. Sono le parole di Enrico Cecchetti, vicepresidente del Consiglio regionale toscano, nell’intervento di presentazione della prima Conferenza delle assemblee legislative europee ed africane, dedicata al tema del decentramento. Obiettivo – ha spiegato Cecchetti – confrontare esperienze diverse e discutere se e quanto il decentramento possa essere uno strumento utile per promuovere lo sviluppo, la democrazia, il consolidamento dei processi di convivenza civile. Ma decentramento può voler dire molte cose. “Penso a un decentramento utile ad avvicinare i cittadini e le istituzioni, capace di innestare circuiti virtuosi – ha detto Cecchetti – Penso al fatto che proprio dal rispetto e dalle valorizzazione delle peculiarità dei diversi territori può venire un contributo decisivo per costruire una maggiore coesione a livello nazionale e sovranazionale. Penso quindi ad un’idea di decentramento intesa come strumento per unire, non per dividere e meno che mai per contrapporre”.

Il primo ospite ad intervenire nella Conferenza è stata Luisa Morgantini, europarlamentare, presidente della commissione per lo Sviluppo del Parlamento europeo. “Pace, democrazia, sviluppo, sono parole troppo spesso abusate – ha affermato – Il nostro dovere è restituire loro autenticità. Incontri come quello di oggi, cui sono onorata e commossa di partecipare, devono avere questo scopo. Il nostro lavoro dev’essere serio e rigoroso”. “L’Unione europea in particolare affida un ruolo importante alla cooperazione decentrata, anche se i fondi messi a disposizione non sono molti – ha aggiunto – Ci sono stati passi avanti, ma ancora non è sufficiente: è necessario lavorare di più sulla costruzione di reti di relazioni che facciano sì che la cooperazione decentrata funzioni come strumento di pace e giustizia. E’ necessaria – ha concluso – un’assunzione di responsabilità da parte di tutti, africani ed europei, per essere veramente partner nel processo di cambiamento. Il Parlamento europeo è assolutamente disponibile a proseguire in quest’impegno”.

E’ entrato più nel merito della questione decentramento, da addetto ai lavori, Guido Bertucci, che dirige la Divisione di pubblica amministrazione e gestione dello sviluppo del Dipartimento degli affari economici e sociali delle Nazioni Unite, a New York. Ricordando come il decentramento stia assumendo un ruolo sempre più importante, testimoniato da numerosi incontri e programmi di livello internazionale, Bertucci ha anche lanciato un monito. In condizioni di pace, ha detto, un processo di decentramento pianificato in modo attento e correttamente gestito può portare a significativi miglioramenti nelle condizioni di vita delle persone. Ma non è sempre così: il decentramento non è la panacea di tutti i mali. In certi casi, specialmente nelle società frammentate e multi-etniche, può portare con sé alcuni pericoli. “Un vero processo di decentramento – ha detto allora Bertucci – deve soddisfare alcune condizioni: primo, i governi locali devono operare in condizioni di sicurezza. Secondo, devono avere a disposizione risorse finanziarie da utilizzare in modo autonomo. Terzo, le autorità locali si devono dimostrare affidabili, sia verso i cittadini che verso le autorità centrali. Quarto, i governi locali e centrali devono lavorare in partnership tra loro, con gli attori sociali e con il settore privato. Infine, bisogna evitare i monopoli di potere da parte delle elite locali, garantendo la partecipazione della società civile ai processi decisionali”.

Un accurato aggiornamento sulla fase di transizione che la Repubblica democratica del Congo sta attraversando è stato fornito da Apollinaire Muholongu Malumalu, presidente della Commissione elettorale indipendente congolese. Malumalu ha ricordato che dopo 32 anni di dittatura e 9 di guerra nel paese c’è una grave crisi economica, sociale, di legittimità, di governance. “Con questa fase di transizione – ha spiegato – ci poniamo alcuni obiettivi: una pianificazione, il ripristino dell’integrità del territorio e dello Stato, la ricostruzione e la riconciliazione nazionale, la costruzione di un esercito nazionale e di un nuovo ordine politico, libere e democratiche elezioni. Aiutateci in questo processo di pace e di democratizzazione”.

Il presidente del Consiglio regionale dell’Umbria Mauro Tippolotti ha osservato che “le analisi che hanno riguardato il continente africano sono state per molto tempo viziate da un lettura eccessivamente eurocentrica”. Se questa premessa è vera, ha continuato Tippolotti, “scopriremo che può esistere una concezione africana della democrazia, non necessariamente incompatibile con quella europea, ma inevitabilmente diversa”. E ha concluso: “Un processo di sviluppo del contesto africano può essere realizzato solo gradualmente e senza imposizioni. Altrimenti non rimane che rassegnarsi alla prospettiva catastrofica dello scontro di civiltà”.

Un quadro di insieme sulle esperienze europee di decentramento è stato tracciato dagli interventi di Chris Game, professore dell’Università di Birmingham, e di Paolo Bianchi, professore della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Il primo si è soffermato sul caso del Regno Unito, che “rimane il paese più centralizzato dell’Europa occidentale, in cui si assiste a una devolution asimmetrica, ma in cui è in corso un processo di evoluzione”. Esattamente tra un mese si terrà nel nord est dell’Inghilterra il primo referendum per interpellare i cittadini sulla volontà di creare un’assemblea regionale. Paolo Bianchi ha ricordato che un tempo in Europa esistevano due modelli predominanti di decentramento: quello in cui il decentramento di fatto non c’era, cioè gli stati centralizzati, e quello basato sui governi regionali o sugli stati federali. Adesso si assiste all’evolversi di questi modelli in molti paesi, a iniziare dalla Spagna. “Stiamo passando da un modello di decentramento a piramide – ha detto Bianchi – a uno a rete, in cui più soggetti all’interno della comunità statale partecipano su un livello di parità. Questo può determinare anche alcuni elementi di criticità, come la crisi del principio di uguaglianza all’interno degli Stati, quando soggetti differenziati cominciano ad esercitare pressioni, o come l’aumento di tensioni fra le Regioni e i Comuni”.

Il presidente della Giunta regionale Claudio Martini ha sottolineato che l’iniziativa di oggi ha un carattere eccezionale, “perché è la prima volta che vedo una così grande attenzione al rapporto tra Europa e Africa. Questo è importante per l’Africa, perché da qui possono nascere idee di cooperazione, ma anche per l’Europa nel momento in cui ci accingiamo all’allargamento”. Secondo Martini “L’Europa non deve sottovalutare il valore strategico della sua frontiera meridionale. L’Europa potrà dirsi veramente grande solo se non si dimentica delle responsabilità che ha nei rapporti con l’Africa, con il bacino mediterraneo, con il Medio Oriente”. Importante anche, ha proseguito il presidente, il dialogo fra i vari livelli locali europei e africani, poiché “con la cooperazione abbiamo verificato che solo il livello decentrato riesce a dare risultati concreti e rapidi”. Infine, per quanto riguarda i progetti di cooperazione, Martini ha osservato che “abbiamo fatto numerose esperienze nel campo della salute, della formazione, delle relazioni sociali. Adesso è prioritario continuare e arricchire i progetti anche con una componente di dialogo culturale”.

I paesi africani non sono nuovi a forme di decentramento. “Realtà come quelle dell’Uganda, Ghana, Sud Africa e Zimbabwe stanno da anni puntando sulla governance locale con risultati importanti”, ha spiegato George Matovu, direttore regionale dello Zimbabwe. Questi stati si sono impegnati nel decentramento verticale: i servizi non vengono più gestiti dall’autorità centrale ma a livello locale, fino ad arrivare ai singoli villaggi. “Purtroppo in molti casi mancano le risorse finanziarie per gestire i servizi ai cittadini e questo limita fortemente l’operatività dei governi locali”. Per il direttore, un altro presupposto fondamentale è la trasparenza delle istituzioni, che non devono essere minate dalla corruzione, come invece accade in paesi come il Rwanda.

Ma il vero decentramento non può essere legato solo alla possibilità di votare i propri rappresentanti. “E’ necessario che gli elettori abbiano la possibilità di controllare il loro operato, e questo è possibile solo con forme di decentramento in cui vi sia una partecipazione totale dei cittadini alle scelte quotidiane, all’analisi dei problemi e alla loro soluzione”, ha affermato John Mary Kauzya, del Dipartimento per gli affari economici e sociali dell’Onu. Il rischio che si corre per Kauzya è quello dell’insorgere delle dittature, quando i politici eletti non sono più controllabili dalla società. Per raggiungere in Africa livelli migliori di decentramento bisogna superare alcune barriere come l’alfabetizzazione e i vincoli economici.

Un esempio concreto di decentramento è stato esposto da Kwasi Ameyaw Cheremeh, segretario generale dell’Associazione delle autorità locali del Ghana. “Il nostro governo ha intrapreso un processo di decentramento sin dal 1988, basato su consigli di coordinamento a livello regionale e su assemblee distrettuali”. Il dato interessante è che i governi locali del Ghana non prevedono il confronto politico ma vengono formati da membri “non-partisan”. “Resta ancora da colmare il gap della rappresentanza femminile, dato che le donne per motivi dovuti alla coltura, alla religione o alla povertà, partecipano solo in parte alla vita pubblica del paese”.

“Sviluppo economico e istituzionale di un paese – ha detto Paul Smoke della New York University – dipendono strettamente dalle strutture esistenti ed anche il decentramento fiscale si inquadra in un processo più generale di riforme politiche attuate. Il decentramento fiscale deve seguire processi diversi paese per paese, non possiamo semplificare una materia così complessa. Gli incentivi e le risorse vanno dati in modo giusto ed è profondamente sbagliato decentrare i servizi in periodi di crisi quando mancano le risorse economiche”.

“Il decentramento è un processo graduale – secondo il prof. Smoke – che si costruisce nel tempo, non può essere stabilito immediatamente attraverso una legge o un atto unilaterale; i programmi di decentramento non possono essere omogenei, poiché ogni paese ha storie, tradizioni ed istituzioni profondamente diverse”.

“E’ fondamentale per sconfiggere la povertà – ha detto Alice Perlini direttrice Istituto Agronomico di Firenze – la gestione corretta e decentrata delle risorse naturali ed il rispetto dell’ambiente. La cooperazione internazionale ha avuto il merito d’intervenire e favorire i processi di crescita delle autonomie locali e della società civile. L’istituto Agronomo ha portato avanti un’esperienza innovativa per ridurre la povertà ambientale e floreale in paesi arretrati come Nigeria, Mali, Burkina Faso e Senegal; impegnando risorse per 15 milioni di euro in un programma triennale”. “Il programma – ha ricordato la prof.sa Perlini – ha cercato di valorizzare le risorse esistenti localmente, coinvolgendo le istituzioni pubbliche e private per scegliere e controllare gli interventi più meritevoli di essere finanziati. La crescita locale può portare a dei risultati duraturi se c’è una volontà di riforma reale dello stato e l’idea di sostenere i programmi finanziati anche successivamente con risorse proprie”.

“La Chiesa segue con attenzione – ha detto Alessandro Plotti, Vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana- i processi di sviluppo nei paesi in tutto il mondo ed in particolare dell’Africa. I cristiani devono necessariamente uscire da una dimensione locale e vivere i problemi del mondo intero. E’ fondamentale realizzare tre condizioni: promuovere lo sviluppo locale, far partecipare i cittadini alla vita democratica, diffondere una cultura della pace e della tolleranza”.

“Per favorire lo sviluppo locale – ha proseguito Alessandro Plotti – bisogna fare i conti con il territorio e con i problemi concreti della gente. La partecipazione dei cittadini alla vita democratica è un punto fondamentale, si deve superare lo scollamento tra la vita politica ed i cittadini; la passione per la cosa pubblica è un valore altamente etico che dobbiamo riconquistare giorno per giorno. Le parole solidarietà, tolleranza, pace sono valori uniti e fondamentali; per affermare una vera cultura di pace dobbiamo lavorare nel quotidiano e nelle piccole. Dalla famiglia, dal lavoro, dai luoghi sociali partono processi positivi che investono anche le nazioni e le istituzioni politiche”.

“L’Uganda ha una lunga storia di decentramento e di riforme per portare il governo più vicino al popolo – ha ricordato Edward Mugabi segretario per il decentramento dell’Uganda – che ha avuto nel 1995 un momento significativo con la nuova Costituzione; si sono sviluppati processi a livello centrale e locale per sviluppare e potenziare scuole, ospedali, strade, agricoltura, pesca, funzioni amministrative decentrate. Esistono 5 livelli di governo locale, la più alta funzione è nel distretto, ed i diversi livelli comportano alcune difficoltà di gestione e di sovrapposizione di funzioni. Comunque il bilancio delle riforme è positivo, il 70% dei governi locali funziona, sono migliorati i servizi, è diminuita la povertà e bisogna prendere atto che il governo nazionale ha favorito i processi di sviluppo locale; adesso è fondamentale proseguire nei processi di cambiamento in atto”.

Informazione e tecnologia per decentramento Tra i sessantotto paesi con i quali la Toscana promuove la cooperazione allo sviluppo, ben ventuno sono africani; tra i 1150 progetti promossi da istituzioni o dal mondo del volontariato, quasi la metà, 504, sono in Africa (sia in quella subsahariana che in quella settentrionale) e riguardo al flusso di denaro, si stimano dai dieci ai quindici milioni di euro l’anno per interventi in Africa, dei quali la sola Regione toscana ha destinato nel 2004 ben sei milioni alla cooperazione decentrata (dei quali tre e mezzo alla sanità).

Questi sono alcuni dei dati resi noti da Silvano Granchi, responsabile per la Toscana del lavoro di coordinamento regionale in Africa nel corso del suo intervento alla “Prima conferenza delle assemblee regionali europee e africane” a Palazzo Vecchio a Firenze.

Gabriel Mato Adrover, presidente del Parlamento delle Canarie ha portato l’esperienza di queste isole che hanno dato vita a relazioni di collaborazione con Mauritania, Capoverde, Senegal e Marocco, riuscendo a creare imprese e fondando entità sociali senza scopo di lucro. “I nostri progetti di cooperazione con l’Africa -ha detto- tendono a rafforzare i poteri locali regionali nelle zone in cui interveniamo.” La voce dei Paesi Baschi si è fatta sentire attraverso Juan Maria Atutxa Mendiola, presidente del Parlamento basco. Mendiola ha evidenziato come i Paesi Baschi detengano un primato: sono il Paese che destina la più alta percentuale del prodotto interno lordo a progetti di cooperazione internazionale. L’esperienza toscana è stata raccontata, invece, da Stefano Fusi, sindaco di Tavarnelle Val di Pesa che dal ’96 è partner in Ciad di progetti di cooperazione decentrata che spaziano dall’agricoltura alla sanità ai rapporti istituzionali. “Abbiamo stanziato -ha detto Fusi- due borse di studio per studenti ciadiani; creato la banca dei cereali che prevede centri di stoccaggio e distribuzione in Ciad; il tutto è stato possibile grazie alla partecipazione della popolazione, alla reciprocità e alla qualità tecnica dei progetti.” Alain Clerc, segretario del Fondo di solidarietà digitale di Ginevra, si è soffermato sull’importanza della riduzione del divario tecnologico presente nei paesi africani, rilevando come fondamentale la promozione di tecnologia dell’accesso all’informazione e al digitale. Sulla necessità di “formazione per l’azione” ha insistito, invece, Josu Ocariz del centro Cifal Bilbao, specializzato nella rete mondiale per l’informazione. “Bisogna sviluppare strategie locali e regionali per la formazione, organizzando corsi, finanziando progetti locali e formando le autorità locali.” L’esperienza della Toscana nella cooperazione in Africa deve sapersi misurare con le peculiarità del continente che presenta situazioni diversificate fra le sue aree sia per gli aspetti geo-morfologici che per fattori storici, condizioni sociali, tradizioni e situazioni politiche.Il rischio che corriamo è che l’Africa continui a svolgere un ruolo marginale anche in futuro. “Non dobbiamo permettere che questo scenario negativo si materializzi -ha concluso Giovanni Di Stasi del Consiglio d’Europa. Dobbiamo creare una strategia comune che punti a mettere in campo la difesa della pace, dei diritti e lo svilippo economico e sociale; nessun risultato può essere raggiunto senza un corretto decentramento.” Il documento finaleUn documento finale sottoscritto da tutti i delegati delle oltre cento assemblee regionali e locali africane ed europee convenuti a Firenze in questi due giorni, e l’avvio di un osservatorio permanente per proseguire il lavoro impostato. Si è conclusa così, in Palazzo Vecchio, la prima conferenza euroafricana, dedicata al tema del decentramento: due giorni di intenso lavoro, di confronto, di scambio, che sono serviti anche per gettare le basi di future collaborazioni. “Ripartiremo da qui – ha detto il presidente del Consiglio regionale toscano, Riccardo Nencini, concludendo il dibattito – Dalla costituzione di questo osservatorio, per mantenere alta l’attenzione sui processi di sviluppo locale e sul decentramento, e dall’organizzazione dei prossimi appuntamenti, in primo luogo della seconda conferenza euroafricana: sono già arrivate le prime candidature per ospitarla”.Un’evento, quindi, che avrà sviluppi concreti e che, a detta di tutti i delegati, è stato molto utile per mettere a fuoco come il decentramento possa essere un formidabile strumento per la democrazia, la partecipazione, lo sviluppo, possa – come recita il documento finale – “consentire alle comunità locali ed ai singoli individui di evolvere da beneficiari passivi ad attori protagonisti dello sviluppo umano”. “Il decentramento – si legge ancora nel documento – se sostenuto da una chiara volontà politica e gestito efficacemente, è uno strumento per favorire la democratizzazione, la riconciliazione e l’integrazione sociale, ed un mezzo per favorire lo sviluppo umano sostenibile e il buon governo”, e ancora “rappresenta un’opportunità per rafforzare la presenza delle donne nelle istituzioni, per promuovere la diversità culturale, può migliorare la fornitura di servizi pubblici”. Per questo il documento chiede maggiore impegno ai governi nazionali, alle autorità locali, ed anche alle organizzazioni internazionali.

“Dalla conferenza sono emersi chiaramente alcuni aspetti fondamentali – ha sottolineato Enrico Cecchetti, vicepresidente dell’assemblea toscana – il decentramento per funzionare deve puntare sulla partecipazione dei cittadini, perché le comunità locali e la società civile siano protagonisti dei cambiamenti. E’ chiaro infatti il legame strettissimo, l’intreccio che esiste tra pace, democrazia, sviluppo e decentramento. Ed è emersa, infine, una volontà forte di andare avanti, moltiplicare le occasioni di scambio, facendo tesoro del lavoro che abbiamo svolto in questi giorni: in queste stesse ore abbiamo già cominciato a discutere in termini concreti”. Il presidente Nencini, infatti, ha reso noto che le autorità marocchine e di Capoverde hanno già chiesto alla Toscana di siglare un accordo istituzionale per promuovere dialogo e decentramento. La Toscana infatti può fare da apripista su questi temi, mettendo a disposizione la sua esperienza, nel momento in cui in questi Paesi stanno prendendo il via processi di riforma istituzionale.

I lavori sono stati chiusi da Guido Bertucci, che a New York dirige la Divisione di pubblica amministrazione e gestione dello sviluppo del Dipartimento Affari economici e sociali delle Nazioni Unite; Berttucci ha ringraziato il Consiglio toscano, la Calre, Conferenza delle assemblee legislative delle Regioni d’Europa, e la Scuola superiore S. Anna di Pisa, che hanno reso possibile l’evento.

Misna

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