Toscana
A Careggi il primo trapianto di rene in Italia da donatore a cuore fermo in chirurgia robotica d’urgenza
L’intervento è stato eseguito dalla Chirurgia robotica mininvasiva e dei trapianti renali diretta dal professor Sergio Serni che sottolinea come: <<grazie all’impegno della Direzione di Careggi è stato possibile l’allargamento dei criteri di reclutamento dei donatori, nell’ambito del relativo programma di donazione a cuore fermo>>.
«La procedura – spiega il dottor Adriano Peris direttore delle cure intensive per il trauma e i supporti extracorporei di Careggi – è particolarmente complessa perché permette il prelievo in assenza di battito cardiaco grazie al sistema ECMO che mantiene l’ossigenazione degli organi che altrimenti si danneggerebbero irreparabilmente rendendo impossibile il trapianto».
«È il diciottesimo caso in cui viene attivata la donazione a cuore fermo a Careggi – conclude Peris – il primo ospedale in Italia per numero di questi interventi e l’unico che dall’ottobre del 2016 ha attivato l’applicazione sistematica di questo specifico programma di donazione avviato da circa due anni dal Centro Nazionale Trapianti (CNT) e dall’Organizzazione Toscana Trapianti (OTT) con il supporto della Regione Toscana».
«Nel febbraio del 2017 – ricorda Serni – a Careggi è stato eseguito per la prima volta in Italia un intervento contemporaneo di prelievo e trapianto di rene da vivente in chirurgia robotica. In questi giorni la stessa tecnica è stata utilizzata per un rene prelevato a cuore fermo, ma con un maggior impegno organizzativo e assistenziale in considerazione dei tempi più ristretti imposti dalla particolare condizione del donatore. In questo caso – prosegue Serni – è possibile parlare di chirurgia robotica d’urgenza con un intervento non programmabile eseguito da un’equipe robotica composta da 3 chirurghi: Graziano Vignolini, Simone Carassai e Vincenzo Limarzi che in poco più di 3 ore hanno portato a termine il trapianto».
«L’utilizzo del robot nel trapianto renale – conclude Serni – consente di ridurre al minimo i giorni di degenza post-operatoria grazie a una incisione di soli 6 cm, 3 volte più piccola rispetto alla chirurgia tradizionale. Questo permette di ridurre notevolmente il rischio di infezioni della ferita chirurgica nei pazienti trapiantati che sono spesso diabetici e sottoposti a terapia immunosoppressiva, quindi particolarmente vulnerabili da virus e batteri».