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A 60 anni dalla fine del conflitto mondiale. Il peccato originale di ogni guerra

DI ROMANELLO CANTINISono ormai sessanta anni che è finita la seconda guerra mondiale. Stanno ormai scomparendo anche gli ultimi veterani di quel conflitto. Chi ha combattuto allora ha oggi almeno ottanta anni e anche coloro che allora bambini sono in grado di ricordare sono ormai vecchi. Ma tanti, troppi sono coloro che allora c’erano e a cui la guerra ha impedito di diventare vecchi o appena maturi. Dai quaranta ai cinquanta milioni sono i morti della seconda guerra mondiale. Un popolo soppresso grande quanto la popolazione del nostro paese che la guerra in cinque anni ha succhiato nel buco nero del suo orrore. Venti milioni i russi morti. Dieci milioni i morti tedeschi. Sei milioni i caduti polacchi. Per la prima volta nella storia la maggior parte delle vittime era innocente se non altro perché non aveva né imbracciato un fucile né indossato una divisa.

I civili caduti durante i bombardamenti, le deportazioni, le rappresaglie furono la maggioranza dei morti in Polonia, in Francia, in Jugoslavia, in Grecia. A ciò si aggiunge il costo di un continente distrutto.

A mano a mano che il tempo passa se ne vanno le storie personali, ma si tirano le somme di una aritmetica ancora più terribile. E per la presbiopia di chi come noi può vedere solo da lontano, questa foresta interminabile di croci diventa ancora più intollerabile soprattutto al confronto con i sessant’anni di pace che l’Europa ha goduto dopo. Se la pace dunque è possibile in Europa perché tutto questo è potuto accadere?

Oggi, seppure nella celebrazione della liberazione dal mostro raccapricciante del nazismo, sentiamo anche qualche stecca nelle fanfare dei vincitori. Una parte dell’Europa rimase indubbiamente sotto un dominio totalitario almeno per altri quarantacinque anni dopo il fatidico 1945.

E tuttavia questa tirannia dei liberatori non si fondò tanto e solo sulla arrendevolezza delle potenze occidentali come vorrebbe Bush e nemmeno sul cinismo di Churchill che a Mosca si mette con la sua famosa matita blu a buttar giù insieme a Stalin le percentuali di influenza nell’Europa dell’Est e dell’Ovest. Il dramma di fondo è che nella prima metà del secolo scorso le ultime democrazie sopravvissute in Europa in mezzo al pullulare dei totalitarismi di destra e di sinistra erano troppo poche e troppo deboli per poter sconfiggere il nazismo senza l’aiuto determinante del più potente di questi regimi illiberali nel campo opposto.Se si guarda il tutto dentro questo quadro soffocante di ideologie totalizzanti non solo la prima metà degli anni quaranta del secolo scorso ma tutto il secolo scorso ci appare come figlio del peccato originale della guerra.

È la guerra, nella fattispecie la prima guerra mondiale, che partorisce sia il bolscevismo sia il nazifascismo, i parenti serpenti della storia del secolo. I nazifascisti volevano essere ripagati del costo della prima guerra con un’altra guerra, i comunisti volevano essere ripagati dello stesso costo con la rivoluzione. Entrambe le ideologie totalitarie hanno trionfato allora sulla idea di un prezzo del sangue versato troppo grande per accettare la pace come unico risarcimento della guerra.

Ed è importante soprattutto oggi che tanto si discute sulla guerra come liberazione ricordare che in Europa per prima è la guerra che, oltre i lutti e le devastazioni, distrugge anche i diritti umani per poi doverli riconquistare solo in parte a prezzo di un altro enorme tributo di sangue.