Opinioni & Commenti
A 40 anni da quel 12 dicembre che accese gli anni di piombo
di Romanello Cantini
Ma se non fu la strage di Piazza Fontana ad accendere il fuoco degli anni di piombo tuttavia non c’è dubbio che i suoi morti ebbero l’effetto di una tanica di benzina gettata su un barbecue. Due anni prima i colonnelli avevano compiuto il colpo di stato in Grecia dimostrando che la Nato non era sempre quel baluardo delle democrazia per cui si diceva che fosse nata. L’idea che Piazza Fontana subito suggerì ad una parte della sinistra è che si volesse con la «strategia della tensione» provocare il caos per giustificare così anche in Italia la sospensione della democrazia e i colpo di stato. Il coinvolgimento di alcuni corpi separati dello stato nella vicenda offrì il pretesto a chi non aspettava altro per dimostrare che la democrazia si salvava non con il rispetto, ma con l’attacco alle istituzioni.
Piazza Fontana sembrò prestare un appiglio a chi già gettava la rete fra le grandi masse dei partiti popolari per cercare volontari per la propria rivoluzione, ma questa volta in nome della difesa della democrazia. La teoria del doppio stato che nacque allora e che in fondo è ancora storicamente dura a morire cercava di rappresentare istituzioni e partiti solo come paravento alle forze oscure, ma reali che con le loro trame facevano davvero politica e governavano il paese.
Piazza Fontana ebbe la sua «diciottesima vittima» tre giorni dopo quando il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli cadde dal quarto piano della questura dove era stato condotto per essere interrogato. Dall’inchiesta condotta dal giudice D’Ambrosio risultò che Pinelli non era stato ucciso e in fondo non si era nemmeno suicidato. L’istruttoria parla di «malore attivo» che è un termine che spiega forse il caso ad un laureato in psicologia, ma non dice molto purtroppo alla gente comune. D’Ambrosio, il futuro giudice di Mani Pulite ed oggi senatore pd, escluse ogni responsabilità del commissario Calabresi nella morte di Pinelli. Il commissario era fuori stanza quando Pinelli precipitò. I due fra l’altro erano amici e si regalavano reciprocamente libri. Ma su Calabresi si sviluppò una campagna di odio forsennata. Chi vuole avere una idea della barbarie intellettuale del tempo può leggersi il documento contro Calabresi firmato da centinaia di giornalisti, scrittori, artisti che Michele Brambilla ha conservato nel suo libro L’eskimo in redazione.
Il commissario Calabresi fu assassinato sotto casa il 17 maggio 1972. «Gli spararono alle 9,15, mentre apriva la portiera dell’auto di mia madre» ha scritto il figlio Mario che allora aveva due anni e che oggi è direttore de La Stampa. Lotta continua scrisse il giorno dopo il delitto che era stato compiuto «un atto in cui gli sfruttati riconoscono la loro volontà di giustizia».
Ma ormai si era di fatto già entrati negli anni di piombo. Tre mesi prima di essere ucciso proprio il commissario Calabresi aveva riconosciuto nell’uomo che era saltato in aria a Segrate nel tentativo di mettere una carica esplosiva su un traliccio dell’alta tensione l’editore Giangiacomo Feltrinelli.
Le confessioni di Leonardo Marino nel 1988 porteranno alla condanna di Adriano Sofri, di Giorgio Pietrostefani e di Ovidio Bompressi, tutti esponenti di Lotta Continua, per l’assassinio di Calabresi. Piazza Fontana non è stato l’unico crimine ad essere rimasto senza colpevoli. Ce ne sono purtroppo molti altri. Non sappiamo ancora, per esempio, chi provocò la strage del treno Italicus e chi sparò al sindaco di Firenze Lando Conti.
Ma se oggi di Piazza Fontana non conosciamo i responsabili, ne possiamo contare i danni e le conseguenze che, in buona parte e seppure in forma indiretta, vanno molto al di dà dei diciassette morti del 12 dicembre 1969. Nei venti anni successivi si conteranno in Italia 360 attentati mortali, fra cui 289 attribuibili all’ultrasinistra e 27 ai neofascisti. Fra questi ultimi c’ è il più grave di tutti : l’attentato del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna con i suoi 85 morti, l’unica delle grandi stragi per la quale la magistratura ha emesso una condanna definitiva anche se il condannato, il neofascista Giusva Fioravanti, continua a dichiararsi innocente.