Vita Chiesa
MORTO IL VESCOVO GIOVANNI BIANCHI
È scomparso domenica 21 settembre, all’età di 85 anni, mons. Giovanni Bianchi, vescovo emerito di Pescia da tempo ritiratosi al santuario di Collevalenza. Nato a Firenze nel 1918, aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale nel 1941. Dopo essere stato per dieci anni parroco a Castelfiorentino, era divenuto vicario generale della diocesi di Firenze nel 1961. Nominato vescovo nel 1964 come ausiliare del cardinale Ermenegildo Florit, nel 1977 aveva lasciato Firenze per divenire vescovo di Pescia, dove è rimasto fino al 1994.
Ecco un ricordo di mons. Bianchi scritto dal card. Silvano Piovanelli, arcivescovo emerito di Firenze.
Monsignor Giovanni Bianchi, quando, a causa dell’età, divenne vescovo emerito, stabilì la sua residenza a Collevalenza presso la Casa dei Figli dell’Amore Misericordioso. Fu una scelta determinata, anche di fronte all’invito di rimanere a Firenze. Là l’ho rivisto in occasione delle assemblee straordinarie della Cei, celebrate almeno ogni due anni. Poche altre volte l’ho visitato a causa, oltre che della lontananza, dei miei impegni di ministero. Padre Bianchi – come lo chiamavano – era disponibile sempre, per la comunità religiosa e i pellegrini. Ogni giornata era piena: la vita di preghiera della comunità religiosa, le confessioni, la predicazione, le liturgie. E l’ascolto di chiunque bussasse alla sua porta.
In occasione di un corso di Esercizi spirituali durante l’estate del 2001, siamo stati insieme quasi una intera settimana. Anch’io «vescovo emerito»: come lui, dopo di lui.
Come lui, dopo di lui, in molti altri momenti della mia vita. Nato a Firenze nel 1918, dopo un servizio pastorale nella Pieve di Fagna e nella parrocchia di Porto di Mezzo, fu per lunghi e importanti anni proposto di Castelfiorentino. Nel 1960 fu nominato vicario generale nella Diocesi di Firenze e nel 1964 fu consacrato vescovo ausiliare del card. Ermenegildo Florit. Nel 1977 diventò vescovo diocesano nella Chiesa di Pescia, che servì come buon pastore sino a tutto il 1993, quando il Papa accettò le sue dimissioni per i limiti di età previsti dal Codice di Diritto Canonico. Anch’io, parroco a Castelfiorentino, poi pro-vicario e vicario generale; quindi vescovo ausiliare; successivamente, Arcivescovo di Firenze e vescovo emerito. Dopo di lui, gli stessi gradini pur con scansioni diverse di tempo e anche di luogo.
Ripenso a quando Giovanni Bianchi, alunno di teologia, era assistente – allora si diceva «prefetto» – di noi, seminaristi, alunni del ginnasio. Mi pare di vederlo ancora nel suo banco in capo alla grande sala di studio, intento sui suoi libri e attento alla nostra disciplina. Sempre sereno, facile alla battuta fiorentina (era della parrocchia del Pignone), aperto con noi seminaristi, ma fedele al suo compito ed anche esigente.
Ringrazio Dio di avermi permesso di fargli visita a Collevalenza appena quindici giorni prima della morte. Era appena tornato dall’ospedale. Svegliato dal torpore, mi ha riconosciuto e gli occhi gli si sono illuminati di stupore e di gioia. Non riusciva a parlare, ma è riuscito a sillabare: «Siamo nelle mani di Dio», allargando le mani in un gesto di abbandono. Poche parole, che riassumono una vita, dicono la fiducia di chi è preparato all’incontro, rimangono come messaggio prezioso per tutti.
Sono contento, perché, in occasione dell’ordinazione episcopale di mons. Claudio Maniago, ricordando i vescovi fiorentini, ho potuto dare notizia della sua malattia e affidarlo alla preghiera di una assemblea straordinaria per numero e intensità di partecipazione.