Vita Chiesa
La Comunione sulla mano: così da 25 anni si riceve Gesù
La riforma liturgica promossa dal Concilio Ecumenico Vaticano II con pazienza e determinazione, ci ha guidati a vivere l’azione liturgica a partire dalla «assemblea» intesa quale primo e fondamentale segno sacramentale della Chiesa. Tale primato liturgico dell’assemblea esige che i fedeli e i ministri siano condotti a compiere e a conformare i loro gesti nella consapevolezza che nella gestualità, negli atteggiamenti del corpo, nelle vesti e negli oggetti, si esprime in maniera visibile il «depositum fidei».
Il Concilio ha così determinato la centralità del popolo di Dio nella celebrazione e, in questa mentalità, è stato riformato e pubblicato il Messale Romano detto di Paolo VI. Il Messale del 1962 iniziava con l’espressione «Sacerdos paratus» (Il sacerdote vestito con gli abiti liturgici) e questa dicitura manifestava una liturgia pensata in funzione del celebrante, mentre l’attuale inizia con «Populo congregato» (Il popolo, l’assemblea congregata).
Il popolo di Dio presieduto dai pastori non è più «muto spettatore» ma attore, dinamico e cosciente, e manifesta la Chiesa orante e celebrante. I battezzati sono coinvolti con parole e gesti, che implicano il linguaggio della corporeità, producendo quella «attiva e consapevole partecipazione» che è la volontà pastorale della «Sacrosanctum Concilium», la Costituzione sulla sacra liturgia. A partire da ciò in questi anni post-conciliari la Chiesa è stata impegnata in un formidabile lavoro di catechesi liturgica, non sempre adeguato (questo non ha giovato), ma dove si è cercato, con pazienza, di far crescere i fedeli la Riforma ha dato ottimi frutti.
Nel cammino i Vescovi italiani hanno progressivamente applicato le indicazioni liturgiche atte a migliorare la partecipazione; fra di esse la concessione della «Comunione sulla mano». Nel maggio 1969, con l’istruzione Memoriale Domini sul «modo di distribuire la comunione», la Sacra Congregazione per il Culto divino concede alle Conferenze Episcopali la facoltà di introdurre la prassi della comunione sulla mano. Il documento precisa che questo era il modo normale usato nelle Chiesa antica, successivamente passata alla comunione sulla «lingua» per vari motivi.
La Conferenza Episcopale Italiana prese questa decisione nella assemblea Cei del maggio 1989 con una istruzione in cui si legge: «Accanto all’uso della comunione sulla lingua, la Chiesa permette di dare l’Eucarestia deponendola sulle mani dei fedeli protese entrambe verso il ministro, ad accogliere con riverenza e rispetto il Corpo di Cristo. I fedeli sono liberi di scegliere tra i due modi ammessi. Chi la riceverà sulle mani la metterà in bocca davanti al ministro o appena spostandosi di lato per consentire al fedele che segue di avanzare».
L’ orazione dopo la comunione del tempo ordinario della ventisettesima domenica infatti afferma: «che noi possiamo diventare ciò che abbiamo ricevuto: il Corpo di Cristo».
*Docente di Liturgia allo Studio teologico interdiocesano di Camaiore