Toscana
Per una società attiva e protagonista
Professore, il titolo dell’area tematica che sarà coordinata da lei è «Slegare la mobilità sociale». Che cosa significa in pratica?
«Il titolo può significare molte cose. Io vorrei che l’attenzione del gruppo fosse incentrata su alcune tematiche: quali sono i limiti della politica oggi; come la partecipazione può ravvivare i contenuti e i metodi della politica; come la partecipazione si può combinare con il principio di sussidiarietà e perciò con il coinvolgimento delle organizzazioni private, in primo luogo del terzo settore, alla progettazione e alla realizzazione delle politiche pubbliche; come tutto questo possa consentire di sviluppare una coesione sociale che sia fondata sul principio di solidarietà a partire dal rispetto delle regole e perciò della legalità. Tutto questo credo voglia dire oggi «slegare la mobilità sociale» e cioè porre le condizioni perché la società possa essere attiva e protagonista delle scelte che la riguardano».
Com’è la realtà della Toscana e quali gli effetti positivi per la nostra regione?
«La Toscana è tradizionalmente terra di partecipazione e di coinvolgimento delle persone a molti livelli: sia sul piano delle attività di utilità sociale (si pensi al ruolo storico ed attuale svolto dal terzo settore) che su quello più propriamente politico. Su questo credo non vi siano dubbi: si pensi anche all’esperienza della legge toscana sulla partecipazione, una delle innovazioni che sul piano normativo la nostra Regione ha saputo produrre in ambito nazionale. In tutto questo, il problema che si pone è di come fare in modo che questo spirito di attenzione agli altri, di impegno per la cosa pubblica e di sensibilità per la politica (intesa come costruzione della casa comune) possa essere mantenuto e ravvivato, a fronte delle molte cose che non vanno (anche in Toscana) e delle difficoltà degli strumenti tradizionali di dare risposte vere ed efficaci ai bisogni delle persone».
Quale contributo può arrivare dall’Università in questo campo? C’è bisogno di innovazione?
«L’Università deve fare la sua parte, anche nei momenti di grave difficoltà (sia esterna che interna all’università) che stiamo vivendo. Il suo compito è di mantenere alto il livello della vita culturale, obiettivo che spesso essa si trova da sola a perseguire. In più, deve essere capace di offrire innovazione in ogni ambito del sapere: a partire da quello scientifico e tecnologico, ma anche sul piano sociale e della convivenza civile».
E la Chiesa come si pone in questo processo?
«Penso in primo luogo ad un’azione di tipo educativo, che aiuti i cristiani laici a produrre idee e azioni nella società, e a dare loro sostegno mediante organizzazioni e reti capaci di produrre innovazione e sviluppo sociale. Ed insieme, ad una Chiesa che non cessi di svolgere attraverso le sue strutture un’azione di supporto e di supplenza a fronte dei tanti bisogni delle persone, ma che al contempo sappia valorizzare il principio di sussidiarietà nel suo senso più vero: non sostituendosi ma collaborando alle responsabilità dei soggetti pubblici ed istituzionali».
Quale contributo spera possa arrivare dai cattolici toscani che si riuniranno a Pistoia?
«Mi auguro che ciascuno sappia leggere con occhi attenti la propria realtà per cogliere in essa, al di là ed oltre delle difficoltà che ciascuno vive e che necessariamente preoccupano, i «segni dei tempi», quelle situazioni e quei movimenti capaci di offrire speranza, e sui quali operare per far crescere una società meno legata e capace di valorizzare le tante risorse presenti».