Dossier

La Settimana sociale di Pistoia

VIDEO PRIMO GIORNOVIDEO SECONDO GIORNO  – INTERVISTA Al CARD. BETORI

«Per tornare ad essere significativi nella vita sociale e politica è necessario che i cattolici toscani osino di più nel loro quotidiano operare, elaborando proposte e assumendo impegni e responsabilità chiare e coerenti, misurandosi con i problemi reali, riscoprendo la fatica del confronto, valorizzando l’autentica autonomia delle realtà terrene senza abdicare alla specificità cristiana». Lo ha precisato il cardinale Giuseppe Betori, presidente della Conferenza episcopale toscana, a chiusura dei lavori della prima Settimana sociale dei cattolici toscani ospitata a Pistoia dal 3 al 5 maggio nell’ottica delle «Settimane» nazionali.

Fu proprio la città Toscana, nel 1907, come ricordato dal vescovo della diocesi, Mansueto Bianchi, a ospitare la prima delle Settimane sociali dei cattolici italiani. E oggi come allora, ha sollecitato Bianchi, i cattolici «siano portatori di una visione evangelica della storia, capaci di spirituale discernimento, di dare nuovo e vigoroso significato alle nostre antiche parole, di collaborazione con identità culturali diverse, di mediazione e realismo, di porsi ove occorra come segno di contraddizione». Forte l’invito del vicepresidente della Conferenza episcopale toscana alle comunità cristiane della regione affinché «si riapproprino del pensiero sociale cristiano, ne impastino la loro cultura e la loro coscienza, la rendano mentalità di popolo perché nuove identità cristiane si mettano in gioco, a vari livelli, nel presente e nel futuro».

Anche il vescovo Giovanni Santucci, delegato per i problemi sociali e il lavoro, ha spiegato il legame con l’iniziativa nazionale: «Prendendo lo spunto dalla Settimana sociale di Reggio Calabria, accogliendo l’invito che ne deriva, abbiamo pensato di tradurre in “toscano” il suo messaggio. Ci siamo chiesti – ha aggiunto Santucci aprendo la seconda giornata di lavori – se non era possibile rileggere per noi le indicazioni, i suggerimenti emersi a Reggio Calabria, che costituivano un agenda di speranza per il Paese».

Quindi la «Settimana» toscana va colta, a giudizio di Betori, «come un ulteriore e specifico strumento di ascolto e di ricerca, come occasione di confronto e di approfondimento per meglio capire quel che sta avvenendo e quel che si deve fare nel merito di tematiche specifiche, in continuità con l’ultima Settimana sociale nazionale: intraprendere nel lavoro e nell’impresa; educare per crescere; includere le nuove presenze; slegare la mobilità sociale; completare la transizione istituzionale».

Dall’incontro di Pistoia, attraverso il contributo degli oltre 400 delegati e del lavoro in precedenza svolto nelle diciassette diocesi della regione, è nata una sorta di «Agenda di speranza della Toscana», che poi si tradurrà, dopo la necessaria «rilettura» (già iniziata in assemblea da parte del politologo Antonio Maria Baggio) in un documento conclusivo che terrà conto dei quasi duecento interventi registrati nei gruppi di studio e in assemblea.

Quest’«Agenda» è di fatto «il contributo che il laicato cattolico convenuto a Pistoia offre a tutti i fedeli laici della Toscana», chiamati, secondo Betori, a «spendersi per rigenerare comunità» in quanto «appare necessaria una seria educazione alla socialità e alla cittadinanza, mediante un’ampia diffusione dei principi della dottrina sociale della Chiesa».

«Proprio all’educazione ritengo sia necessario – ha aggiunto il Cardinale – rivolgere una particolare attenzione, curandola con più organicità e determinazione, a partire certamente dall’educazione alla fede e alla sua dimensione comunitaria, ma anche in vista di un nuovo protagonismo dei cattolici nella vita sociale e politica. Ecco perché non basta sentire l’esigenza di una rinnovata presenza e di un più puntuale e creativo protagonismo del laicato cattolico, per far sì che questa presenza risulti significativa e incisiva, superando la situazione di pratica irrilevanza culturale e di diffusa “afonia” nella costruzione della polis, che si registra ormai da tempo e che non può essere colmata da semplici tentativi di aggregazione partitica. Occorre che tale impegno sia fondato su una salda coscienza di fede».

«I cattolici – ha ricordato Betori – tanto hanno dato, ma tanto ancora possono dare in questa particolare stagione della vita del Paese, chiamato ad affrontare riforme di grande portata e fortemente bisognoso di un pensiero culturale alto e di una politica di energico spessore. Per essere protagonisti della vita sociale e politica, con una presenza che nei fatti – circolazione delle idee e determinazione delle scelte – apporti un valore aggiunto qualificato e divenga generatrice di cultura, è necessario riscoprire la fecondità del Vangelo per la vita quotidiana, personale e comunitaria».

A proposito del «nuovo umanesimo», oggetto anche della relazione introduttiva del filosofo Adriano Fabris e della sintesi finale del delegato regionale per i problemi sociali e il lavoro padre Antonio Airò, arriva dalla «Settimana» di Pistoia l’auspicio per un movimento che, operando concretamente, ne metta in luce l’urgenza.

«Nel fondare questo nuovo umanesimo – ha ribadito Betori –, le Chiese toscane, tutti i fedeli laici e l’intera società civile e politica della regione, in ragione della loro stessa storia, non possono non trovarsi in prima linea. Non possiamo dimenticare come gli inizi dell’umanesimo moderno siano intrecciati profondamente con la visione di fede della vita e della storia. Oggi dobbiamo chiederci se non spetti proprio a noi riprendere le fila di quel tessuto originario». Ma «per contribuire a fondare un nuovo umanesimo, dobbiamo saper voltare pagina, abbandonando timori e incrostazioni ideologiche». Al centro, pilastro fondamentale della società, deve esserci la persona umana, «vertice e fine di tutte le istituzioni sociali». Così come centrale deve essere la questione lavoro, e quindi la persona: «Solo così l’economia può davvero rimettersi in marcia e lo sviluppo essere di segno positivo. Mettere al centro la persona, offre un solido punto di riferimento e apre una via larga anche nell’affrontare il tema che sarà posto al centro delle prossima Settimana sociale nazionale di Torino: “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana”. Lo sguardo alle due realtà del lavoro e della famiglia costituisce – a giudizio dell’arcivescovo di Firenze – l’orizzonte in cui si pone la questione dei giovani nella nostra società».

«Una società che lascia i giovani fuori dal mondo del lavoro è una società stolta – aveva già detto l’economista Luigino Bruni, introducendo i gruppi di studio – ma è stolto anche non considerare più i vecchi un bene pubblico».

«Occorre – ha concluso Betori – legare di più momenti formativi e esperienza di lavoro nella vita sociale, dando spazio alle nuove generazioni. Occorre accrescere gli spazi di reciprocità, con un’attenzione speciale alle forme di cooperazione, con cui sviluppare modi comunitari con cui gestire i beni. Occorre legare maggiormente le forme del nostro intraprendere al territorio e alla sua storia peculiare. Occorre aprirsi a stili di vita meno legati a modelli consumistici e più indirizzati a forme di gratuità e di socialità. Il tema di una società più fraterna dovrebbe essere messo all’ordine del giorno con maggiore convinzione, per superare schemi ormai logori di competizione e di antagonismo sociale. E qui si torna alla contrapposizione tra individuo e persona, all’autonomia asfittica e impossibile di singoli e gruppi o alla relazione liberante in cui ci si accompagna nella condivisione della speranza. A questo parametro umanistico da ribaltare siamo tutti richiamati e da qui inizia il nostro impegno».