Cultura & Società
La meridiana, voce del cielo
di Carlo Lapucci
Un buco praticato in un tetto o in una cupola, ovvero uno stilo piantato in terra bastano per sapere molte cose del sole che ci riguardano; se poi con opportuni studi si rilevano i punti opportuni, nel punto dove cade il raggio solare in un dato momento, o nello spazio in cui si muove l’ombra dello gnomone, si può avere l’ora solare precisa e da qui è cominciata in tempi antichissimi la misura del tempo astronomico.
Molti oggi si meravigliano di trovare distese sul pavimento di certe chiese, di grandi cattedrali, linee meridiane anche di molte decine di metri realizzate nel metallo, nel marmo, con complicati segni e graduazioni e si chiedono perché proprio lì, in un luogo di culto, sia stato collocato un grande strumento scientifico, senza immaginare che tale dispositivo se non fa parte del culto, fa parte della realtà religiosa e non importa citare quante meridiane si trovino nelle principali chiese della cristianità.
In Santa Maria del Fiore a Firenze se ne trova una delle più antiche, tra le più grandi, costruita nel 1467 da Paolo dal Pozzo Toscanelli, lo gnomone solstiziale che funziona intorno al solstizio d’estate, presso la festa di San Giovanni. Nella stessa città, in Santa Maria Novella, si trova un’altra meridiana iniziata da Egnazio Danti, assai complessa che indica gli equinozi e il solstizio d’inverno, mentre dal rosone un altro foro gnomonico fornisce quotidianamente sul pavimento la segnalazione solare. Lo stesso Danti, che realizzò nel 1580 la Torre dei Venti in Vaticano, è l’autore della meridiana di San Petronio a Bologna (un’altra nella stessa chiesa è del Cassini e risale al 1655) nonché di quella della Biblioteca dei Domenicani. Sull’argomento è uscito un recente volume: Le meridiane storiche fiorentine, di S. Berbolini e G. Garofalo, che tratta approfonditamente i magnifici congegni che si trovano nelle chiese di Firenze.
A Roma, in Santa Maria degli Angeli ve n’è una grandissima fatta costruire nel 1702 da Clemente XI per opera del prelato astronomo Francesco Bianchini. De Cesaris costruì nel 1786 la meridiana nel Duomo di Milano mentre l’abate Piazzi provvide nel 1801 alla costruzione di quella nella Cattedrale di Palermo. Sono queste tra le più celebri, ma non mancano piccoli orologi solari anche in chiese più modeste e meno conosciute e sempre la Chiesa si è preoccupata della determinazione del tempo. Gerberto d’Aurillac, monaco dottissimo, ritenuto addirittura un mago, divenne Papa Silvestro II, e fu colui che provvide a costruire un sistema per la determinazione dell’ora detto Orologio di Magdeburgo.
Si può immaginare che ciò sia dovuto al fatto d’essere un congegno elementare antichissimo, antecedente alla ruota, ai metalli, alla cottura degli alimenti, ma soprattutto deve aver operato la suggestione senza pari: quella d’essere una realtà minuscola e modesta capace di spiare il cuore dell’Universo, e un tempo il Sole appariva simbolo della divinità, o era identificato con questa. In fondo lo schema di una mediana è semplicissimo: basta piantare in terra, in qualunque luogo aperto, un bastone che sia investito dalla luce del sole, con la sua ombra che gira sul terreno o su una parete nel, dì segna la sua lunghezza, mentre la variazione dello sviluppo dell’ombra segna la variazione dell’altezza del sole nel corso dell’anno.
Era, e rimane, un eco che precipita nelle mani dell’uomo da lontananze infinite, e i poeti non hanno mancato di cogliere questa straordinaria opportunità, tessendo intorno alla meridiana infinite analogie e metafore.
La meraviglia dell’uomo è stimolata dalla magia del raggio del sole che può rifrangersi in infiniti colori, penetrare nell’acqua, suscitare la vita in ogni cosa che sfiori, rivelatore di una legge dell’Universo e della sua perfezione. Si tratta dunque di un messaggero di una legge e di una forza celeste, divina, luce e vita del mondo, tanto che la divinità maggiore di molte religioni, come nella mitologia greca s’identifica con la Luce: Zeus, Diòs, dies, giorno, luce.
L’ombra di un ago rivela la misura, anticamente creduta assoluta, del tempo, realtà misteriosa, inafferrabile, imprendibile, sfuggita alle definizioni di tutti i filosofi: comunica all’uomo la misura voluta dal Cielo dei ritmi cosmici, del percorso degli astri, di ogni fine e d’ogni inizio, delle partenze e dei ritorni dei cicli naturali. Nasce di qui, o vi trova conforto, l’idea circolare del tempo, della vita costituita di avvicendamenti naturali e spirituali, delle cose che come le stelle snodano una danza infinita intorno ala luce divina dalla quale sono attratte come falene, per ricadere nell’abisso da cui sono uscite.
Conoscere il tempo non è quindi una curiosità, ma un dovere e una necessità per rendere l’ammirazione dovuta e il culto a colui che è omnium rerum Conditor, poiché Dio comunica il segreto del Tempo col Sole, la Luna, i Pianeti, le Stelle. Al tempo si collega la realtà, la vita e la via mediatrice ne è la Meridiana che comunica con le cose del Cielo, le realtà supreme dell’esistenza e della sua fine, del suo valore e dell’uso che se ne fa, e da qui la determinazione del calendario, delle feste, delle preghiere, delle ore del Breviario, del lavoro, del riposo.
La determinazione della festa e il controllo del tempo hanno avuto per le religioni un’importanza fondamentale e fin dai primi tempi la Chiesa si preoccupò degli strumenti e dei calcoli per fissare in modo preciso le date delle ricorrenze, le ore delle preghiere da cui è dipeso per secoli l’ordinamento dell’anno e del giorno.
Il Venerabile Beda, che si occupò dei calcoli per la determinazione della Pasqua, racconta nella Storia degli Angli (III, 25) che nella casa regnante della Northumbria nacque un conflitto sulla determinazione della data della Pasqua: «In quel periodo dunque spesso capitò, a quanto si racconta, che la Pasqua fosse celebrata due volte nello stesso anno; mentre il re, cessato il digiuno, già festeggiava la Pasqua, la regina e i suoi digiunavano ancora e si apprestavano a celebrare la festa delle Palme». Per sanare questo dissidio con la moglie Eanflaed, il re Oswiu decise di riunire un sinodo a Whitby per dirimere la questione nel 664, e così fu fatto.
Nell’idea unitaria del mondo cristiano riaffiora un’idea primitiva di cui abbiamo parlato nel trattare del Centro del Mondo, vale a dire l’idea dell’Axis mundi, ossia quella linea che univa, nella visione arcaica magico-religiosa il centro della terra al centro del cielo, il centro di una comunità, di una nazione, d’un paese al celeste centro divino, il centro di una casa, d’una famiglia col suo focolare alla stella più alta, più luminosa, alla sede di Dio. Il sole ne è il simbolo più eccelso e dove cade un suo raggio, là si crea un centro della vita. L’idea dell’Axis mundi si trasferisce in un’immagine più concreta, direi più scientifica, lasciando comunque inviolato il mistero del tempo.
C’erano molti espedienti per misurare il tempo senza congegni, sia periodi brevi, sia lunghi di diverse ore. Le meridiane comparvero come frutto di una cultura raffinata e non certo popolare, ma i destinatari di tale congegno disponevano di cognizioni pratiche superiori alle nostre per leggere in quei segni. L’uomo contemporaneo normalmente, con vaghe nozioni scolastiche, non è più in grado di decifrare nulla nel cielo e nel corso dei corpi celesti.
La meridiana dunque era opera pubblica, ma poteva essere posta in edifici privati e ognuno la caricava di un significato derivato dal proprio pensiero. Fabbricata da esperti con complicate e lunghe misurazioni, era però utilizzata anche da analfabeti, in quanto relativamente semplice. È forse il manufatto più antico, più diffuso e più comune anche in tempi remoti nelle varie civiltà. Nella sua versione elementare (la determinazione del mezzogiorno) la sua semplicità permise fin dall’antichità di fabbricarlo: l’ombra più corta dello stilo (gnomone) proietta su un piano orizzontale la linea meridiana, che va da Sud a Nord, base dello strumento. Richiedendosi maggiore precisione e la possibilità d’uso nei vari periodi dell’anno, le cose si complicano: si rendono necessarie conoscenze, misure e calcoli che rendono la costruzione dello strumento, a cominciare dal suo posizionamento verticale, un’attività se non per iniziati, quanto meno per specialisti. Tali calcoli nei popoli antichi come Egizi, Babilonesi, Assiri, Caldei, Indiani furono sempre opera di sacerdoti e appunto uno di questi, Beroso, che visse in Egitto nel III secolo a. C., apportò ai quadranti modifiche fondamentali, disponendoli nel cavo di una semisfera, tali che questi emicicli ed emisferi si diffusero nel mondo civile. In Grecia furono detti eliotropi e l’inventore della meridiana vera e propria è ritenuto tradizionalmente Anassimandro (IV secolo a. C.) che sarà stato un perfezionatore di un quadrante solare precedente.
Forse i costruttori di meridiane rimasero sempre iniziati, sedotti da teorie magiche, collegati a pratiche esoteriche come i costruttori di menhir, megaliti e obelischi: probabilmente le iscrizioni tipiche del congegno erano messaggi per altri iniziati.
È curiosa la sopravvivenza alla sua stessa funzione, anzi, forse è l’unica cosa che si è continuato a fare anche dopo che è divenuta del tutto superflua dall’invenzione degli orologi meccanici, segno chiaro del suo fascino.
I contadini parlavano nelle aie non tanto di ore, quanto del canto del gallo, degli uccelli, dell’alba dei tafani, dell’abbeverata, del ritorno del gregge (l’ora del pastore), della mungitura, l’ora della zanzara, delle mosche, l’andata a pollaio delle galline o degli uccelli, della cena, della veglia, l’or di notte, l’ora dei ladri, delle civette.
Le ore della meridiana non erano molto familiari a chi viveva nei campi: col buio e le nuvole la meridiana cessa la sua funzione. Il quadrante non è di facile lettura, variando l’ombra dell’ago nei vari tempi. Inoltre questo congegno complesso non si trovava sulle mura delle case coloniche. Era nelle piazze più importanti del paese, sulla facciata della chiesa o nel campanile, nelle fattorie e nelle ville. I contadini imparavano l’ora terza, l’ora sesta dalla pratica e il primo punto di riferimento comune fu il segnale della campana.
La prima notizia di orologio a rotismi l’abbiamo da Dante (Paradiso X, 139 e segg.). Si trattò inizialmente d’orologi meccanici di conventi e di campanili, fuori dell’uso comune della gente e, dai primi del trecento occorrerà attendere qualche secolo perché l’orologio della torre sia presente in ogni villaggio.
L’orologio meccanico però non spodesta del tutto le meridiane: proprio quando questo si diffonde nel XVI secolo si comincia a porre meridiane sugli edifici come ornamenti, come elementi di completamento di architetture, come angoli suggestivi di ricreazione. Con la simbolica, l’araldica, lo studio delle imprese seguono secoli di grande splendore per l’iscrizione oraria, capace di abbellire con caratteri e numeri, coinvolgere con il suo mistero.
Anche gli orologi a polvere, ad acqua, a ruote hanno avuto le loro iscrizioni, ma nulla di paragonabile al patrimonio raccolto dalle meridiane.
Facciamo un esempio: D. O. M. N. M. M. H. E. P. N. C. significa: Domino Optimo Maximo Nunc mea, mox huius, et postea nescio cuius. («A Dio Ottimo Massimo – Ora mia, presto sua, poi non so di chi». Tale sistema di abbreviazione si ritrova anche sulle tombe dove Deo Optimo Maximo compare talvolta (D. O. M.) come su altri tipi di lapide, mentre spesso è impossibile decifrare la frase che rimane nascosta nella serie di iniziali.
L’acrostico delle parole d’una frase rende così impenetrabile anche la frase più semplice, che è decifrabile soltanto da chi viene istruito: le lettere A M G P D T divengono semplicissime sapendo che sono l’inizio dell’Ave Maria in latino: Ave Maria Gratia plena Dominus tecum.
S. Bartolini, I fori gnomonici di Egnazio Danti in Santa Maria Novella, Edizioni Polistampa, Firenze 2006.
S. Bartolini, Gli strumenti astronomici di Egnazio Danti e la misura del tempo in Santa Maria Novella, Edizioni Polistampa, Firenze 2008.