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La Toscana chiamata a fare i conti con l’astensionismo e la nuova opposizione

Ci siamo fermati al 48% a fronte del 52% nazionale. Un fatto grave per una regione che era abituata a ben altra partecipazione. Il «ponte» del 2 giugno ha sicuramente influito, ma rispetto anche solo a quell’oltre 60% di votanti alle precedenti elezioni significa che una parte degli astenuti, forse un quarto o addirittura un terzo, lo ha fatto come scelta politica. Se poi agli astenuti coscienti si aggiungono i consensi raccolti dalla Lega e dal Movimento 5 stelle, vien fuori una sorta di voto di protesta di cui non si potrà non tenere conto. Gli slogan di Salvini, gridati da una tv all’altra, hanno fatto breccia anche da noi, dove al tempo stesso abbiamo contribuito a ridare vigore ai pentastellati. Sbaglia, ovviamente, anche chi non vota, anche perché non delegittima nemmeno i vincitori.

La democrazia è la democrazia e le regole sono le regole anche se può sembrare strano che nelle regioni dove si è votato lo si sia fatto con leggi elettorali diverse per cui c’è chi poteva diventare presidente con qualsiasi percentuale e un solo voto in più dell’avversario e chi doveva, come in Toscana, superare il 40 % per scongiurare il ballottaggio.

Enrico Rossi, come previsto, ce l’ha fatta. L’astensionismo non inficia la sua vittoria, ma impone una riflessione seria a tutti i partiti, a partire proprio dal Pd, che appare ridimensionato a livello nazionale rispetto ai grandi numeri delle Europee. Ma avranno di che riflettere soprattutto i partiti di centro destra che, a esclusione della Lega, rischiano in Toscana l’insignificanza in un Consiglio regionale che vedrà 24 democratici a confronto-scontro con un’opposizione inedita capeggiata da 6 leghisti e 5 grillini.

Un dato positivo arriva invece dall’alto numero di preferenze espresse, favorito anche dai nomi prestampati sulla scheda. È la prova che sulla battaglia per il ritorno delle preferenze avevamo ragione.