Opinioni & Commenti
I paradossi della fecondazione eterologa
Fin dall’inizio si sapeva che sarebbe stato difficile procurarsi i gameti per l’eterologa e, soprattutto, i gameti femminili. La Corte Costituzionale con la sentenza del 9 aprile 2014 ha scardinato uno dei paletti più robusti e significativi posti dalla legge 40 sulla fecondazione artificiale la quale diceva sì alle tecniche mediche che aiutano le coppie a generare, ma diceva no a soluzioni che portano le radici della nuova vita fuori della coppia, attraverso il ricorso a gameti di donatori e di donatrici. Dopo la sentenza, senza aspettare la formulazione di linee guida nazionali, già nel mese di luglio, la Giunta regionale toscana ha pubblicato direttive per Centri pubblici e privati dimostrando una grande tempestività, neanche ci fosse stata l’urgenza di intervenire su una epidemia in atto.
Nel settembre la Conferenza delle Regioni ha pubblicato un documento sulle problematiche relative alla fecondazione eterologa in gran parte sovrapponibile a quello già approntato dalla Toscana. Con una buona dose di superficialità, la Corte costituzionale aveva dichiarato che la sentenza che ammetteva l’eterologa non creava alcun vuoto normativo perché la fecondazione di tipo eterologo – si diceva – è solo una modalità di eseguire tecniche già ampiamente disciplinate. Gli interventi della Giunta toscana e della Conferenza delle regioni, così come l’attesa di indicazioni da parte del Ministero della salute dimostrano da sole che l’eterologa ha bisogno, invece, di una normazione specifica.
È vero che fare una inseminazione o una Fivet, per esempio, come seme del marito o con seme di donatore è tecnicamente indistinguibile, ma i criteri con cui procurarsi i gameti necessari, la selezione dei donatori sulla base delle loro caratteristiche, la tracciabilità dei donatori stesse e il diritto dei concepiti con eterologa di risalire, prima o poi, alle proprie origini genetiche sono tutte questioni di non piccolo peso che devono essere regolate con chiarezza. Fare una fecondazione artificiale con l’eterologa comporta problemi tecnici, ma soprattutto problemi umani diversi da quelli dell’omologa.
Un nodo subito individuato è quello del reperimento dei gameti da impiegarsi nell’eterologa, sia spermatozoi sia ovociti. Per questo a Careggi, dove si prevedono almeno un migliaio di interventi di eterologa l’anno, hanno selezionato alcune banche dei gameti straniere, due spagnole e due danesi, ed hanno sottoscritto contratti di collaborazione ai prezzi previsti da ciascun centro.
La spesa prevista a Careggi è di 650 mila euro l’anno. In queste banche, veri ipermercati dei gameti, è possibile ottenere informazioni dettagliate sui donatori, dalla razza al colore degli occhi e dei capelli, nonché avere garanzie sulla salute e l’assenza di malattie genetiche in famiglia. Le indicazioni stabilite dalla Conferenza delle regioni chiedono anche controlli batteriologici mediante tamponi uretrali nei maschi e vaginali-cervicali nelle femmine.
Dal momento che i Centri contattati, pur molto affidabili, non praticano tutti i controlli desiderati, di per sé quei gameti non rispondevano ad alcuni standard italiani e perciò è stata necessaria una apposita delibera della Regione per sbloccare l’impasse. Questa è la notizia di cronaca comparsa su «La Repubblica» del 25 marzo e non sarebbe neppure una notizia di quelle che fanno scandalo, dal momento che riguarda aspetti secondari dei protocolli elaborati per la selezione dei gameti da impiegarsi nell’eterologa. Un questione tutto sommato marginale che, però, ci rimanda al problema di fondo della difficoltà di avere gameti di donatori.
Ottenere spermatozoi è tecnicamente più facile perché basta una masturbazione per averne milioni, mentre la raccolta degli ovociti chiede di stimolare la donna con ormoni e, al momento opportuno, di prelevarli con un intervento invasivo compiuto in via laparoscopica, di solito con una blanda anestesia. Qualche ovocita può provenire dalla condivisione di uova (il cosiddetto «egg sharing»): donne che si sono sottoposte al prelievo degli ovociti nell’ambito di fecondazione artificiale omologa, cioè all’interno della coppia, sono invitate a cedere gli ovociti rimasti inutilizzati a donne che ne hanno bisogno. Questa procedura è stata seguita al Centro per la fecondazione artificiale di Cortona.
La gente manifesta, comunque, scarsa propensione a donare i propri gameti. Mancanza di solidarietà? Forse, ma gli Italiani mostrano una ben maggiore propensione a donare il sangue o il midollo, procedura questa invasiva e non scevra di qualche rischio. O la difficoltà a mettere a disposizione i propri gameti deriva piuttosto dalla consapevolezza del significato del tutto speciale di questa donazione?
Il dono dei propri gameti non è paragonabile al dono di sangue o di staminali da midollo osseo o di un rene, perché ai gameti è consegnata la nostra identità genetica o, meglio, quella parte della nostra identità genetica che naturalmente condividiamo con i nostri figli. Il legame di sangue, in effetti, è un legame genetico e l’eredità genetica avuta dai nostri genitori sta alla base, nel bene e nel male, della nostra struttura personale. Le persone sono consapevoli che donando i gameti donano qualcosa di sé e che, in qualche modo, sono partecipi della genitorialità dei figli che vengono procreati con i loro gameti.
I gameti donati non sono semplici catalizzatori di una reazione biochimica, non hanno solo il compito di mettere in moto le dinamiche riproduttive di una coppia, ma portano nella generazione del figlio tracce del profilo personale del donatore stesso. Certamente la genitorialità umana non si riduce alla condivisione della identità genetica perché è una realtà tanto più ricca e articolata in cui si intrecciamo elementi fisici e psichici, geni e relazioni, biologia e fantasie. Ma come è possibile mettere fra parentesi la paternità e la maternità genetica, con tutto quello che la scienza oggi ci dice sull’importanza delle strutture genetiche nel contribuire a dare il profilo individuale di ciascuno di noi?
L’eterologa non è soltanto un modo nuovo di trasmettere la vita, ma è anche un modo nuovo di concepire la genitorialità: una terza persona estranea alla coppia si incunea nella coppia e smembra la complessa esperienza della paternità e maternità in frammenti disgregati. Si comprende bene perché le coppie che ricorrono all’eterologa vedono, in genere, in modo negativo la possibilità del figlio di accedere ad informazioni sul modo con cui egli è venuto al mondo e su chi siano il suo padre o la sua madre genetici. Esse vogliono spersonalizzare il più possibile la figura del donatore e della donatrice, arrivando infine a negare al figlio il diritto di conoscere le proprie origini.
La richiesta del riserbo assoluto sull’identità del donatore per le coppia e i figli dell’eterologa, si scontra con le direttive date ai Centri di tener conto della compatibilità del fenotipo del donatore o della donatrice con quello della coppia che si impegna nell’eterologa. Le caratteristiche esaminate devono includere fra l’altro, peso e altezza, colore degli occhi, tipo e colore naturale dei capelli, carnagione. Il figlio deve sembrare nato da una coppia come ogni altro figlio, realizzando una mimesi perfetta della natura.
Qualcuno ha agitato lo spauracchio della eugenetica perché si potrebbero introdurre nella scelta dei gameti criteri razzisti o la ricerca di prestazioni eccellenti attraverso la selezione di gameti provenienti, per esempio, da premi Nobel. Non vogliamo usare questi argomenti allarmistici, ma è evidente che i genitori adottivi mostrano verso i loro figli una attitudine di accoglienza molto più forte dei genitori della provetta: non abbiamo visto tutti coppie di genitori adottivi, bianchi come il latte, portare in giro con orgoglio il loro foglio adottivo, nero come un cioccolatino? Non voglio certo minimizzare le componenti biologiche della genitorialità e il desiderio che il figlio dell’eterologa somigli ai genitori affettivi e legali, ma l’adozione dimostra che il generare veramente umano presuppone un atto di accoglienza incondizionata.
L’ingente somma di denaro necessaria per l’acquisto dei gameti all’estero che si aggiunge alle spese per lo svolgimento delle tecniche di fecondazione, ci porta, poi, a fare due osservazioni di altro tipo.
La prima è che gli eufemismi e la retorica della solidarietà non possono nascondere la realtà delle cose: si parla di «acquisire» i gameti come equivalente politicamente corretto del «comprare» e, con il pretesto di rimborsare le spese sostenute si danno ai donatori ricompense in denaro. Pensando al significato umano dei gameti e alla loro destinazione di trasmettere vita, mi ripugna pensare al commercio di gameti più di quanto non mi ripugni sapere che esiste un commercio mondiale degli organi e dei tessuti. Non è giusto che ci sia qualcuno così povero da aver bisogno di vendere il suo corpo e non è giusto che qualcuno approfitti della povertà di qualcuno per comprare la sua carne.
La seconda riflessione riguarda la gestione razionale delle risorse: suscita non poche perplessità la decisione di mettere la fecondazione eterologa tra i servizi assistenziali di livello elementare (Lea) e stornare verso questa pratica parte delle già magre risorse della sanità. Si dirà che il desiderio di avere un figlio è talmente nobile da giustificare cospicui investimenti nel settore. Lo stesso desiderio spinge moltissime coppie sterili a tentare piuttosto la via dell’adozione, ma queste non ricevono gli stessi aiuti per affrontare i costi elevati delle iscrizioni, delle documentazioni, dei soggiorni obbligati all’estero. Ci sarà certo un qualche motivo ragionevole per cui i genitori della provetta hanno più aiuti dei genitori adottivi, ma il motivo di questa ingiustizia a noi onestamente sfugge.
Fra i paradossi che l’eterologa porta con sé e che, a poco a poco, esplodono ne vogliamo ricordare ancora uno. Non è del tutto noto perché così tante coppie in Europa abbiano un calo della fertilità, ma sappiamo che una delle cause è l’età sempre più matura degli aspiranti genitori. La logica vorrebbe che, attraverso opportune riforme e sostegni di natura economica e organizzativa, si incentivassero le persone a fare i figli in una età più giovanile. La scarsezza di gameti donati in vista dell’eterologa, ha invece suggerito una soluzione opposta: si progetta di istituire gratuitamente banche dei gameti dove le persone potrebbero mettere da parte i loro gameti, finché sono giovani, per poi riprenderseli più tardi quando si verificassero situazioni economiche e lavorative migliori, una specie di polizza biologica sulla propria fecondità. Si ipotizza di poter chiedere ai soggetti che hanno messo da parte i gameti in banche pubbliche e gratuite, di donare un parte di questa riserva biologica ai soggetti con difficoltà generative. C’è già un nome per tale pratica: il «social freezing», il congelamento con fini sociali.
Sullo sfondo di tutti questi problemi posti dall’eterologa, si profilano, infine, la questione dell’utero in affitto e quella della possibilità delle coppie omosessuali di accedere, in quanto coppie stabili e sterili, alle tecniche eterologhe. Di questo oggi non parliamo. Tanto è certo che dovremo parlarne presto.
* ordinario di bioetica, consultore del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari