Opinioni & Commenti

Almeno a livello di promesse quest’anno si parte con il piede giusto

A cominciare dallo stile: credo sia la prima volta che un governo  chiede a coloro che nella scuola ci vivono realmente – docenti, studenti, dirigenti, genitori, personale tecnico-amministrativo – di esprimere il proprio parere, invece di far calare dall’alto norme che la maggior parte degli operatori scolastici  spesso ha sentito estranee e inopportune. Dal 15 settembre al 15 novembre sarà possibile ai veri protagonisti della vita scolastica partecipare a una consultazione on line che potrebbe rappresentare, nelle intenzioni del governo, un grande dibattito pubblico, finalmente aperto a coloro che sanno come vanno le cose effettivamente, piuttosto che a esperti da tavolino o a quel tipo di opinione pubblica convinta a priori che «i professori non fanno nulla». Solo a partire a gennaio – anche alla luce di detta consultazione – le riforme partiranno concretamente, per consentire – sulla carta (insisto: «sulla carta») – la loro entrata in funzione con l’anno scolastico 2015-2016.SEGUE DA PAGINA 1Se poi si entra nel merito delle «linee guida», non si può non apprezzare l’idea di liquidare, finalmente, il pesante fardello dei docenti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento (ben 150 mila!), per consentire finalmente il ripristino, a partire dal 2016, di un regolare sistema di assunzione mediante concorsi e la riapertura della carriera di docente ai meritevoli. Il dubbio riguarda (ancora una volta) la concreta fattibilità di un simile, ambizioso progetto. Chi scrive ha ampie riserve sull’affidabilità dei nostri governanti in questa triste Seconda Repubblica, e Renzi non sembra, sotto questo profilo, diverso da chi l’ha preceduto. C’è dunque da temere che tutto si riduca a un elenco di promesse. Ma almeno le promesse, questa volta, sembrano centrare i problemi.

Una svolta importante dovrebbe essere il passaggio dal sistema degli scatti di anzianità automatici per introdurre una progressione basata principalmente sul merito. È una proposta che sta incontrando già una vasta opposizione da parte della maggior parte degli insegnanti. Nessuna meraviglia, perché se è sbagliato svalutare in blocco il corpo docente, è però verissimo che sono molti i professori che da sempre vivacchiano sul meccanismo dell’anzianità e l’instaurazione di  un criterio di merito «stanerebbe» dalla loro abulia. Si obietta che i fondi previsti basteranno per premiare solo due docenti su tre. In base all’esperienza di chi scrive, sono anche troppi. La scuola ha un disperato bisogno di qualità culturale e didattica e solo una rigorosa selezione, che cominci già dal personale in servizio,  può garantirgliela. E restituire alla professione di insegnante la prospettiva di una effettiva carriera, fondata sulla preparazione e sulle capacità, invece che su automatismi che esonerano dall’impegno, è un passo decisivo per renderla di nuovo capace di attrarre i giovani più validi. Resta da vedere meglio come si farà a determinare questi criteri di merito. Il rischio che si cada in una semplice logica quantitativa e burocratica, come è accaduto per i tentativi fatti in passato, è fortissimo e difficile da evitare.

In ogni caso, è interessante anche l’idea di creare, dal 2015, un Registro nazionale dei docenti, che apra la strada alla possibilità, per i dirigenti, di conoscere e chiamare i migliori a insegnare nelle loro scuole. Anche qui, naturalmente, si tratterà di vedere i fatti.

Come interessante è l’idea dell’introduzione, negli istituti, di un docente Mentor, che affianchi il dirigente nella formazione e nella valutazione delle risorse umane dell’istituto. Sappiamo tutti che l’attuale capo d’istituto non ha più quasi nulla a che vedere con l’antica figura del preside e si riduce ormai per la quasi totalità a funzioni manageriali. Il Mentor potrebbe essere colui che riempie, almeno in parte, il vuoto creatosi, curando la dimensione culturale e didattica. Se non lo si ridurrà a un mero organizzatore di corsi di aggiornamento, un burocrate in più di cui non si sente alcun bisogno. 

Lascia perplessi, invece, l’idea che le ore d’insegnamento corrispondenti ai giorni di sospensione didattica, decisi a inizio d’anno dal consiglio d’istituto, debbano essere recuperate gratuitamente da ogni docente facendo supplenze. L’accusa rivolta spesso ai professori, di avere troppe «vacanze», rispetto ad altre categorie di lavoratori, sembrerebbe trovare qui un riscontro che porterebbe a un aumento dell’orario di servizio. Chi ha fatto l’esperienza di  insegnare sa che la fatica che questo comporta rende improponibile il riferimento meramente quantitativo ad altri lavori. Caricare di altre ore di attività didattica i professori non è la via giusta per rivalutare la funzione docente. Se mai, si chieda loro di leggere, di studiare (troppo pochi lo fanno!), magari per attività di scambio culturale tra le diverse discipline nell’ambito del corpo docente della scuola.

Sono solo alcuni dei rilievi suggeriti dalla lettura delle «Linee guida». Ce n’è abbastanza perché l’anno che sta per cominciare sia caratterizzato da una riflessione e da un confronto che dovrebbe coinvolgere tutti i protagonisti ella vita scolastica. Qui qualcosa può veramente cambiare. Il governo può non mantenere le sue promesse, ma è la scuola nel suo insieme che deve contribuire a metterle meglio a fuoco e a vigilare sulla loro attuazione. E in questi prossimi mesi è chiamata a farlo.