Opinioni & Commenti
Noi, «gioiosi messaggeri» per l’opinione pubblica
«Quello che è successo in Parlamento in questi giorni è scandaloso e mortificante. Mi sentirei umiliato se l’Italia fosse una fotocopia di quanto si è visto». Queste sono le parole pronunciate venerdì scorso in conferenza stampa dal neo segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino. «Ma c’è anche dell’altro – ha aggiunto, rivolgendosi in particolare ai giornalisti – e voi siete chiamati a darne notizia». Un invito esplicito a dare voce a un’altra realtà, a quella parte di Paese che esiste, ma troppo spesso non emerge, non appare sui grandi media.
Da un lato il segretario della Cei ha lanciato un assist verso tutta l’informazione cattolica che da sempre e per vocazione dà voce a chi non ce l’ha. D’altra parte ha fatto riflettere tutti coloro che operano all’interno di questi media. Se è vero che cerchiamo di raccontare un’altra faccia dell’Italia e lo facciamo da tempo, ma tutto questo lavoro non appare, significa che qualcosa di meglio si può e si dovrebbe fare.
Uno degli obiettivi che si ponevano i fondatori della Fisc, la Federazione italiana che riunisce 187 testate diocesane, già nel 1966 era quello di riuscire a fare opinione pubblica. Un obiettivo che resta nella sua interezza in capo a chi, a livelli diversi, è chiamato a raccontare l’Italia delle periferie, dei territori, della provincia. Quella costituita dalle mille risorse diverse di cui sono ancora intrise e capaci le nostre città, i nostri paesi, le nostre comunità locali.
Quanto avete udito e visto raccontatelo sui tetti, narrano le Sacre Scritture in più occasioni. Papa Francesco, nella Evangelii Gaudium, afferma che «non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri» dell’incontro personale con l’amore di Gesù che ci salva. Quindi abbiamo un messaggio forte da comunicare che spesso si svilisce nel tragitto fra il mittente e il ricevente.
Siamo immersi in una babele comunicativa nella quale è facile smarrirsi e dove il frastuono sovrasta ogni tentativo di pacato ragionamento. La «globalizzazione dell’indifferenza» sembra spesso avere la meglio. Ciò non toglie che non si possa migliorare. Prima di tutto cercando di essere sempre più bravi, sempre più efficaci, al passo con i tempi che corrono in maniera vorticosa. Dobbiamo vincere un pregiudizio che relega i media cattolici in un angolo, anche all’interno del variegato e non meglio definito e definibile nostro stesso mondo.
Forse abbiamo bisogno di una maggiore stima reciproca e di realizzare il desiderio di fare rete, soprattutto nella Rete, espresso in numerose occasioni. Un invito fino a ieri, oggi quasi un obbligo, almeno morale, per tutti noi. Dobbiamo osare per incidere di più, senza alcun timore, senza paure di un domani pieno di insidie e di incognite.
Quanti ci hanno preceduti intuirono già diversi decenni fa che era necessario mettersi insieme. Oggi tutto questo diventa una necessità, non certo per noi stessi, per essere autoreferenziali, ma perché, come afferma Papa Francesco al n. 9 della Evangelii Guadium, «il bene tende sempre a comunicarsi. Comunicandolo il bene attecchisce e si sviluppa». Per noi si tratta di un impegno che si deve trasformare in realtà quotidiana: essere «gioiosi messaggeri» di una realtà attraente per tutti. Tocca a noi farla conoscere.