Opinioni & Commenti
Quella convocazione universale nel segno del digiuno e della preghiera
Questo e molto altro vorremmo dire a Papa Francesco, pieni di stupore e gratitudine per questo invito forte e netto – in mezzo a distrazione, esitazione e collettiva afasia – a riconsiderare quelle cose invisibili che crediamo pesino poco, contino nulla: sabato sono balzate invece alla coscienza di tutti noi per la loro forza decisiva. Senza di esse – l’elenco delle realtà invisibili è lungo: fiducia, speranza, amore…. – non siamo più umani. Senza l’armonia che queste realtà producono non vivremmo in una semplice disarmonia – ci ha ricordato il Papa – ma cadremmo nell’abisso del caos. E quel conflitto che ci portiamo dentro dilagherebbe in modo distruttivo, contagioso come sempre, «facendo rivivere Caino».
Dal silenzio delle claustrali al gemito dei morenti, in ospedali improvvisati dalle tante zone di guerra, una corrente calda di umanità è passata, profonda, silente, per non dimenticare nessun urlo di dolore di questo mondo, che Papa Francesco ci ha ricordato essere un dono per gli uomini, una casa dove vivere in armonia, custodendoci gli uni gli altri.
C’è un magistero coerente e crescente dei papi: gesti inediti e audaci dei predecessori sono trampolino per una nuova profezia: quella appunto di una convocazione universale proprio a Roma, nel segno del digiuno e della preghiera, guardando per qualche istante a Gesù crocifisso, unica risposta per restaurare la fraternità tra gli uomini o alla Madonna, Salus populi romani. Segni cristiani, eppure indicati a tutti col tono della supplica, con il timbro basso della meditazione.
Come ogni profezia, le parole di Papa Francesco sono state taglienti, sferzanti e insieme piene di dolcezza e mitezza. Senza concedere nulla alla retorica della profezia, ci è giunta la scomodità del profeta che si fa semplice, piccolo, umile e che quanto più si abbassa più è innalzato, più intende servire e più è ascoltato. Tagliente perché non è possibile non capire il gesto e le parole di sabato sera: con la semplicità della verità – perché la verità è semplice, il messaggio di Dio in Gesù lo devono poter accogliere i bambini, i semplici – Papa Francesco è arrivato a tutti, svelando che il pensiero per cui crediamo che la via della violenza e della guerra non possa cambiare è un alibi. Crediamo normale ciò che non lo è, attribuiamo buon senso al nostro egoismo. «Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? … Voglio rispondere: Sì, è possibile per tutti! Vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi, vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo!».
Una parola così semplice ha introdotto in un tempo breve gesti illuminati e governo così autorevole! Chi si aspettava passaggi ad effetto non li ha avuti, abbiamo ascoltato un discorso accorato, tutto sul registro sobrio della meditazione. A chi poi, ascoltatolo, continua a sostenere con scetticismo che «essere in favore della pace è sacrosanto, proporre invece di espellere la guerra dalla storia è, come si capisce, tutto un altro discorso» (Galli Della Loggia, Corriere della Sera, 8 settembre), Papa Francesco ha già risposto: «Abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte!». «La violenza e la guerra non è mai la via della pace! Ognuno si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro….vinci le tue ragioni di morte…».
La via c’è, forse manca la convinzione di provare a percorrerla. Oggi, in ciascuno e in tutti: dai bambini ai capi delle Nazioni.