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Terra Santa, salta la tregua e la pace s’allontana

DI PIER ANTONIO GRAZIANIEra partito da Washington con un mandato di Bush: convincere Sharon a ritirare «immediatamente» l’esercito dalle città e dai villaggi palestinesi, nonché, altrettanto «immediatamente», ottenere da Arafat la dichiarazione in arabo di condanna degli attentati terroristici con le bombe umane. Se, per il segretario di Stato americano, Collin Powell, convincere Arafat non è stato poi un grosso problema (chi ha il coltello alla gola non può discettare molto) far ritirare le truppe d’occupazione da Ramallah dove Arafat è prigioniero in casa o dalla Basilica della Natività, si è dimostrata impresa più che ardua. Tant’è che Sharon e Peres possono dichiarare che l’impresa è a buon punto e che pensano di poter concludere prima delle sei o sette settimane preventivate. Il tempo di concludere con Betlemme e Ramallah.

Verrebbe da pensare che la missione di Powell, non potendo ottenere la tregua, sia servita – contro le intenzioni – a Sharon per coprire meglio la sua strategia del ripulisti. Non a caso il governo israeliano è stato persino scostante nei confronti degli europei, diffidati a mettere il becco nella questione. Gli europei, infatti, condividono tutti l’«immediatamente» del Presidente americano.

Così la tregua non arriva; quando ne arriverà una non servirà più perché una parte avrà schiacciato l’altra e saremo da capo. Dove in parte già stiamo perché Sharon dribla le stesse proposte di conferenza internazionale sul Medio Oriente caldeggiata da Powell dichiarando che può parteciparvi ma a condizione che non ci sia Arafat: scegliersi gli amici è possibile, e anche auspicabile, ma i nemici sono quelli che sono. Volerli scegliere non depone a favore di una prospettiva di pace. E intanto prosegue il repulisti e intanto la paura degli attentati da una parte fa da controcanto ai campi profughi distrutti, alle città assediate, agli arresti tanto indiscriminati quanto illegittimi.