Opinioni & Commenti
Quel filo diretto con la Natività
La si percepisce e la si vive la felicità di Abuna Ibrahim, come del resto quella degli altri francescani, delle suore, dei monaci armeni ed ortodossi della Natività.
Sin dai primi giorni al telefono chiedevamo notizie delle strutture che le Diocesi Toscane, la Cei ed altre realtà stanno edificando nelle immediate adiacenze della Basilica della Natività; eravamo molto preoccupati perché alla Tv di frequente le vedevamo avvolte nel fumo e nella polvere circondate dalle truppe di Israele.
Anch’io chiedevo insistentemente notizie finché Abuna Ibrahim, con grande tatto ma anche con molta decisione, mi ha detto «Non preoccuparti per le pietre: esse verranno rimesse al loro posto: preoccupiamoci, piuttosto, delle persone, delle sofferenze della gente che sta qua dentro; le persone non si ricostruiscono…».
Allora ho capito e sempre più spesso ho insistito su questo. Finché una sera di una ventina di giorni fa, dopo tanti tentativi di telefonare andati a vuoto, è stato lui a chiamarmi ed a dire che anche senza cibo, senza luce, senza acqua, i frati stavano bene… era la gente fuori che stava male: erano i bambini della sua scuola che non avevano niente, che vivevano di nulla, che gli avevano comunicato che le famiglie stavano soffrendo la fame ed ogni genere di privazione. «Pensate a loro, ditelo alla gente, chiedete un aiuto… quando tutto questo sarà finito dovrete essere voi a sfamarli, a dar loro per un periodo l’essenziale per vivere…».
Ecco, questo sono i Francescani della Custodia di Terrasanta, questo sono le Suore Minime del Sacro Cuore del Convento della Natività.
In questo momento, nonostante i segnali positivi di cui abbiamo detto, Padre Ibrahim ed i confratelli, le suore, i monaci greci ed armeni sono sempre là dentro. Ci sono addirittura nuove e più gravi difficoltà.
Fuori gli uomini cercano affannosamente di rimettere insieme i «cocci» di questa tragedia dei nostri giorni cercando (almeno dicono) le vie della pace, dell’intesa, della convivenza tra i due popoli.
Tutti hanno ricette, si prodigano nel pensare strategie, nell’arte della diplomazia, fanno a gara per proporre, mediare, prospettare soluzioni. Non sanno, o forse sanno fin troppo bene, che nel lungo periodo tutto potrebbe essere inutile.
Ecco, in questa storia che si ripete, oggi abbiamo scoperto che non occorrono solo i grandi (si fa per dire) della terra per fare la pace. La via della pace passa soprattutto dalla semplicità, dalla forza, dalla pazienza, dalla sapienza di Abuna Ibrahim e dei suoi frati. Loro la pace l’hanno già fatta, con le proprie mani e con il proprio cuore; sta agli altri capirlo.