Opinioni & Commenti

Incapaci di amare l’Europa

DI UMBERTO SANTARELLIDa mezzo secolo a questa parte il processo di formazione dell’Europa è stato lento e soprattutto ambiguo: fatto di programmi sonanti e di realizzazioni scoraggianti. Quel che soprattutto dà fastidio è la pluralità di visioni dell’unità europea tra loro quasi del tutto inconciliabili che hanno reso in molti tratti irragionevole il percorso fatto e incoerenti tra loro i singoli risultati raggiunti. A un tratto, quando a qualcuno è parso che fosse arrivato il momento di buttar giù l’inventario dei valori nei quali l’Europa dice di riconoscersi e le linee essenziali d’un possibile progetto istituzionale comunitario, si è parlato di scrivere una Costituzione. E si son messi subito a lavorare di buzzo buono. Ma è stato fin da principio difficile dire che significato abbia questo lavoro, anche se per finirlo si è assegnata una scadenza ravvicinata e si sono scelti gli estensori; però non si è detto se questi personaggi costituissero o no un’assemblea costituente e da dove quest’assemblea derivasse i suoi poteri, e quale sarà il valore del suo «prodotto finito». Anzi, non ci si è domandati nemmeno se gli europei abbiano o no un’idea di Costituzione, visto che da qualche parte (in Inghilterra, per esempio) nessuno ha mai sentito il bisogno di scriverne una. Né si è stabilito quale debba essere il tipo di costituzione da scrivere. Qualcuno ha pensato addirittura che si dovesse trattare solamente d’una collezione di testi che già avessero, ognuno per conto suo, valore di norma «costituzionale», sicché alla fine tutto si riducesse alla confezione d’un inutile «testo unico». E nessuno sa (e comunque, anche se lo sa o lo pensa, non lo dice) a chi toccherà alla fine approvare questa «costituzione»: se al popolo europeo nell’esercizio della sua «sovranità» o agli Stati che non vogliono perdere nulla della loro vecchia sovranità (e, se l’approvazione dovrà toccare agli Stati, nessuno ha fatto sapere se la decisione sarà dei parlamenti o dei governi).

Chi vivrà vedrà, dato e non concesso che qualcosa da vedere alla fine ci sia. Certo, cammin facendo molte cose son cambiate rispetto ai propositi dei primi progettisti. Domenica scorsa, a Vallombrosa, l’associazione degli Amici di Supplemento d’anima conferì il «Premio Europa» alla memoria di Alcide De Gasperi. Nel ritirarlo la figlia dello statista, Maria Romana, disse due cose che fanno meditare chi guarda lo scenario attuale. La prima fu che De Gasperi, quando ragionava d’Europa, usava sempre il verbo amare, e la seconda che i suoi primi progetti d’unione europea erano nati a Vienna, quand’era giovane deputato al Parlamento dell’Impero austro-ungarico, d’uno Stato cioè che non si fondava su una sola nazionalità, anzi che dell’idea stessa di nazione sapeva fare a meno. Oggi i più sembrano incapaci, o addirittura indisponibili, sia ad amare davvero una prospettiva faticosa ma entusiasmante d’Europa che a disfarsi delle vecchie ideologie nazionaliste e stataliste. Così, però, si va poco lontano.