Opinioni & Commenti

Quella strana voglia di fare guerra all’Iraq

DI PIER ANTONIO GRAZIANINon è, l’Iraq, l’ultimo stato al mondo retto a dittatura; non è neppure l’ultimo ad essere sospettato di connivenze con il terrorismo; non il solo, infine, a figurare nella classifica degli stati canaglia stilata a Washington. Connivenze con il terrorismo pare ce ne siano (così hanno detto i saggi consultati dal governo americano) sinanche in Arabia Saudita, il paese del Medio Oriente più amico degli Stati Uniti dopo Israele.E allora? Perché questi venti di guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein? La matassa è ingarbugliata. C’è chi vuole spiegare il tutto con la cultura da cow boy di Bush. E qualcosa di vero può anche esserci; non basta tuttavia a spiegare la cosa; dopo tutto, anche i cow boy non è che avessero sempre la mano sul grilletto per farsi giustizia, capitava infatti spesso intervenisse uno sceriffo a far rispettare la legge.

Le interpretazioni che si danno sono altre. Proviamo ad elencarle, almeno le principali: a) il controllo del Golfo quindi del petrolio; b) la convinzione che, una volta scomparso Saddam Hussein, nessuno si azzarderebbe più a aiutare il terrorismo; c) il sostegno alla politica di Sharon, considerando Israele uno dei due pilastri (il secondo sarebbe appunto un Iraq amico) che dovrebbe dare stabilità alla zona, con le buone e se necessario anche con le cattive.

Il petrolio. È la partita più complessa. Proviamo a vedere perché. La recente intesa Nato-Russia, con quest’ultima che entra se non nel salotto buono della alleanza, certamente lì accanto, avrebbe anche lo scopo, in materia di approvvigionamenti petroliferi, di sostituire la dipendenza americana e occidentale dal Golfo con i pozzi siberiani. Ma la Russia «quasi nordatlantica» annuncia un accordo commerciale proprio con l’Iraq complicando le cose a Bush. Sicché, ancorché «quasi nordatlantica», la Russia avrebbe così più di un problema a girarsi dall’altra parte in caso di attacco americano a Bagdad. Ci rimetterebbe dopo tutto anche l’importanza strategica dei suoi pozzi siberiani.

Ma è il terrorismo il nemico che giustificherebbe una iniziativa americana di guerra anche senza il consenso dell’Onu ed anche senza il sostegno degli alleati occidentali. Il terrorismo è tuttavia materia tanto volatile da poter resistere alle guerre contro gli stati che lo coprono, o lo coprirebbero. L’Afghanistan lo conferma, e lo stesso attentato alle due torri di New York, che ha colpito l’umanità e offeso l’orgoglio americano, dice dopo tutto che le difese dei grandi apparati e anche delle più sviluppate tecnologie possono far cilecca. Saddam ha le armi batteriologiche e chimiche? Può darsi, ma se il possesso di queste in mano a regimi autoritari (e qualche volta anche democratici, nel senso che lì si vota) dovesse essere motivo sufficiente per iniziative belliche, la litania dolorosa non potrebbe fermarsi a Bagdad.

Che sia Sharon interessato alla partita è un’altra conferma della pericolosità dell’operazione. La questione Israelo-palestinese peserebbe ancor più negativamente, non foss’altro, sui governi arabi moderati che devono sostenere, e lo fanno anche con metodi non esattamente liberali, il loro stare, o dover stare alla finestra. La somma di Israele di Sharon e di un Iraq liberato da Saddam non farebbero per forza sicurezza, in Medio Oriente e altrove. È anzi probabile che il terrorismo troverebbe nei dintorni un terreno di coltura ancor più promettente dell’attuale. L’Islam infatti, giusto o sbagliato che sia, avverte sulla sua pelle un pericolo da Occidente; non sarebbe pertanto né saggio né giusto alimentargli questa convinzione.

Ultimo ma non per importanza è come l’Onu esca sempre più di scena dopo essere stato deputato a decidere interventi militari per giustificato motivo anche contro Saddam. In sua vece, si profilano le conseguenze di una dottrina pericolosa che autorizza l’intervento senza autorizzazione internazionale laddove, mancando i requisiti liberali, si potrebbe annidare il terrorismo.