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Il Rosario, la «parola» che non si trova

di Carlo LapucciDifendendo la tradizione, cercando di valutare e di conservare quello che di utile e buono ci consegna il passato, abbiamo sempre fatto attenzione a non cadere nel mito del ritorno a ciò che fu, nell’abbaglio storico di credere a fantastiche felicità e situazioni mai esistite. Non si deve rifiutare lo sforzo che richiede ogni epoca per adeguare le cose al presente: la fatica di ogni generazione per interpretare, comprendere e trasformare la realtà. In tal senso in passato abbiamo valutato il Rosario su queste pagine: una preghiera antica, una forma comune a religioni e a popoli diversi e, come tale, un’istituzione dai contenuti misteriosi e sorprendenti, che possono sfuggire in un’epoca e riaffiorare in un’altra vitali e fruttuosi. Ci è sembrato che il Rosario dovesse essere lasciato ai suoi cultori nella dignità di una devozione praticata da grandi uomini e grandi santi, come da una quantità infinita di persone semplici, alle quali particolarmente è rivolta la parola di Cristo.

Difficile è nella preghiera trovare la sintonia tra le labbra e il cuore, disporre della «parola» che rompa l’involucro della consuetudine, divenga un raggio infuocato che colleghi il magma intiepidito dello spirito umano alla fornace ardente dell’amore divino. Forse è questo che più necessita oggi all’uomo che sente giustamente la Carità, ma sta trascurando la preghiera.

Se si guardano altre epoche, si nota quanto sia stata cercata questa «parola», nel rivivificare anche il rito, le immagini, le metafore, il linguaggio, l’arte. Oggi vediamo trascurato questo aspetto, col risultato di una povertà di espressioni, e anche molte cose che si sono presentate come nuove, forse non sono state rifuse in una visione capace di farcele sentire nostre, del nostro tempo. Non è cosa facile e richiede del tempo, nonché la convinzione che, quando una operazione di questo genere è compiuta, è anche il momento di ricominciare da capo. Scriveva Musil: «Guai alla fede che è vecchia di un’ora». Con grande autorità il Papa ripropone l’antica preghiera, credo non come un recupero puro e semplice d’una forma che è a prima vista lontana da noi: l’uomo non ha più tempi di tregua, d’attesa, di silenzio, come nel passato. Non a caso è stata aggiunta la nuova posta dei misteri della luce.

La proposta è quindi di reinterpretare e coniugare questa straordinaria forma che sintetizza la ripetizione dell’Ave Maria (le labbra) alla contemplazione del Mistero (il cuore), con la necessità di ritrovare la dimensione dello spirito nei modi e nei momenti che la modernità ha imposto e sostituito a quelli del passato: ore d’ansia, d’attesa impaziente, di viaggi frenetici, di tempi morti nei trasferimenti, nelle stazioni, negli areoporti, nelle sale d’attesa. La sintonia col trascendente, una volta cercata nella natura, nel silenzio e nella calma, oggi può essere trovata solo nella mente, magari servendosi della piccola corona capace di creare un’oasi di serenità interiore, illuminata dalla contemplazione, un roseto di amore nel frastuono della sempre più vorticosa e caotica realtà.

Il testo della Lettera sul Rosario