Opinioni & Commenti
L’Opus Dei e la canonizzazione di Escrivà
Ancora quattro secoli orsono San Francesco di Sales poteva notare che «quelli che hanno scritto sulla pietà si prefiggevano quasi tutti di ammaestrare persone che da tempo si erano ritirati dagli affari di questo mondo o perlomeno hanno insegnato una pietà che conduce ad un completo ritiro dal mondo».
Così mentre la santificazione del clero era, per così dire, a tempo pieno, quella dei laici era a part time legata alle pratiche devozionali delle vigilie e delle feste. Il lavoro è stato a lungo visto come un tempo morto e perso al fine della salvezza e considerato come una necessità negativa dovuta alla espiazione del peccato e al bisogno di fuggire l’ozio e la miseria. C’era magari una prima etica delle professioni in San Bernardino e in Sant’Antonino, ma anch’essa intesa a porre dei limiti al lavoro senza valutarlo in sé. Alcune intuizioni di San Tommaso sul lavoro come partecipazione alla creazione ed espansione della propria personalità rimarranno ben presto dimenticate. Non a caso si attribuisce a Lutero l’invenzione del termine «professione» ricavato dal termine clericale di «vocazione».
Oggi, dopo il Concilio e dopo l’enciclica «Christifideles laici», di Giovanni Paolo II le sue intuizioni possono apparire perfino ovvie. Tuttavia quando il Concilio affrontò il tema della autonomia dei laici egli temette le dispersione e la mimetizzazione nel momento in cui l’attività laicale diventava un fine in sé. Lo disse preoccupato anche ai padri conciliari nel momento in cui si stava discutendo la «Lumen Gentium»: «Purché i laici abbiano un’anima contemplativa e siano ben ordinati dentro con l’essere uomini di profonda vita interiore. Altrimenti invece di cristianizzare il mondo si mondanizzeranno i cristiani».
Il progetto dell’Opus Dei fu inoltre concepito più come una somma di progetti personali che con un progetto collettivo. La formula «organizzazione senza organizzazioni» lascia i membri della associazione liberi di inventare nel loro ambiente iniziative originali e congeniali con una forte carica di libertà e responsabilità. Questa sorta di «campagna dei cento fiori» ha fatto sì che i membri dell’Opus Dei abbiano potuto spaziare negli ambiti più diversi dai ministeri alle università, dall’impresa alla famiglia, dall’educazione dei giovani all’assistenza ai malati, dall’accoglienza agli immigrati al volontariato nel Terzo Mondo.
La pietà laicale immaginata da Escrivà è rimasta pur sempre una esperienza esistenziale personale. Per questo, più che per un’esigenza di pluralismo, il fondatore dell’Opus Dei rimase sempre indifferente alle scelte politiche dei suoi seguaci quali esse fossero. Ovviamente con qualche rischio di accuse inevitabili anche se mal poste per chi nella sua vita dovette attraversare la guerra civile e il regime franchista. E tuttavia non c’è dubbio che anche questa scelta di autonomia politica raggiunta per vie traverse rispetto a quelle che oggi consideriamo giustificazioni canoniche ha dato all’Opus Dei un vantaggio e una assicurazione preventiva per trasferirsi ovunque e per universalizzarsi straordinariamente anche a costo di ignorare ideologie e utopie.
Fin dal 1946 il fondatore dell’Opus Dei si stabilì a Roma. Questo gli consentì di visitare spesso la Toscana, in particolare Firenze, Pisa e Siena, attratto soprattutto da Santa Caterina. Passò alcuni periodi estivi anche nel Castello del Trebbio in Mugello e a Villa Pinzuto, a pochi chilometri da Piancastagnaio sull’Amiata. Le permanenze al Trebbio, a Piancastagnaio, ma anche a Montecatini offrirono a monsignor Escrivà continue occasioni per conoscere quasi tutta la Toscana. Visitò Arezzo, Cortona, il Casentino. Pregò nel Santuario di Montenero, come pure a Vallombrosa. E ancora ebbe modo di visitare Lucca, Pistoia, Forte dei Marmi, Grosseto. Escrivá, sin dal lontano 1949, nutrì sempre il desiderio di aprire un centro dell’Opus Dei in Toscana. Ma fu possibile solo nel 1984, a Firenze, con l’Accademia dei Ponti. Dopo di che le attività dell’Opus Dei si sono sviluppate rapidamente non solo a Firenze e a Pisa, ma anche a Prato, Pistoia, Lucca, Siena e Arezzo.
L’Accademia dei Ponti, con sede adesso in via Trieste, è un ambiente di formazione culturale, professionale e spirituale per studenti di ogni ordine e grado. Nata col contributo di famiglie, insegnanti, docenti, e professionisti, l’Accademia dei Ponti ha creato una fitta rete di comunicazioni fra i vari ambiti scolastici e universitari, e fra questi e i contesti economici, culturali e sociali. Attualmente è presieduta da Tito Fortunato Arecchi e diretta da Cosimo Di Fazio. Per le attività dell’Accademia è possibile consultare il sito internet www.accademiadeiponti.it all’interno del quale è ospitato anche un giornale redatto dagli studenti e diretto da Giancarlo Polenghi. «La nostra attività giornalistica e di informazione spiega Polenghi è spunto per diffondere idee e notizie, e insieme occasione per imparare a comunicare con più efficacia. Nella sezione definita e-zine ospitiamo anche contributi di giornalisti o scrittori che accettano di collaborare con il nostro sito. E-zine è strutturato in varie sezioni: il Punto, Articoli, Segnalazioni (narrativa, saggistica, siti e film) e In libertà».