Opinioni & Commenti
I morti non si incontrano al cimitero
di Rodolfo Doni
Vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare…» Così Giovanni nell’Apocalisse. La frase ci dà quasi un senso di sgomento subito corretto dal pensiero: Vedremo Dio così com’è. Dunque: «Più vivi dei vivi». Tolgo questa frase dalla letteratura, dal titolo di una rubrica di Ugo Oletti sul «Corriere della Sera»: andava via via segnalando gli scrittori e i libri più degni del tempo. Ad essi sarebbe stata riservata la sopravvivenza in eterno secondo Ugo Foscolo: «Le Muse siedon custodi de’ sepolcri e quando/il tempo con sue fredde ali vi spazza/fin le rovine, le Pimplèe fan lieti/di lor canti i deserti, e l’armonia/vince di mille secoli il silenzio».
È una religiosità estetica della morte. E di questo tipo di religiosità degradata essa pure a consuetudine sociale è intrisa talora anche la nostra visita ai cimiteri, dove riposano le ceneri dei nostri cari.
Ma accanto a quella lunga catena di morti, davanti agli occhi sullo scaffale, nello spazio che resta dai libri – potrei dire sul davanzale dei libri dove appunto si collocano i fiori che adornano e profumano la casa – mi è accaduto di mettere (nel senso di non programmato) la fila dei miei santi. E non quelli di cui ho anche scritto la vita ma quelli che via via mi è venuto di raccogliere nelle immagini o ritagliare essi pure dai giornali. Non dirò qui del mio La Pira (che mi guarda sorridendo mentre io gli appoggio la mano sulla spalla), né della «povera» Gemma che ho posto vicino a Giuliano Agresti suo vescovo lucchese e biografo: chiamò lei povera «perché si appoggiò sul nulla, le cose deboli, e perciò ebbe tutto». Parlerò così di una santa proclamata di recente dal Papa e che mi è ancor più vicina teneramente quando ci penso: Raffaella Porras; fondatrice delle «Ancelle del Sacro cuore»; aveva passato a Roma gli ultimi trent’anni della sua vita in pieno isolamento per la diffidenza delle consorelle che la ritenevano incapace a tutto, e lei pure era convinta di questo: per cui l’occupazione e l’aiuto che da allora ella poté e volle dare era solo concentrato in un cestino pieno di biancheria da rammendare.
Perché, perché, noi possiamo oggi domandarci, anche allora, quando era umanamente vivo, spesso si nascondeva? Si nascondeva anche allora come oggi? Voleva forse educare noi a questa sua apparente assenza ma reale presenza? E quel farsi riconoscere ai due viandanti di Emmaus solo allo spezzare il pane, perché? Voleva forse far sapere a loro e a noi che lì avremmo potuto ritrovarlo, ritrovarlo vivo finché non fosse tornato.