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Social Forum, ricucire la protesta con la proposta

di Romanello CantiniDunque il sacco di Firenze non c’è stato e i Lanzi non si sono fatti rivedere sotto la loro loggia. Scherzi a parte, tutto è bene quel che finisce bene. Se tutto è andato per il meglio sia per chi mostrava di avere a cuore soprattutto l’arte e chi cercava di privilegiare la politica non è certamente il caso di mettere sotto processo pessimisti ed ottimisti. La pacificità, perfino la compostezza della manifestazione è un po’ merito delle istituzioni locali e nazionali che evidentemente hanno evitato errori di appena un anno e mezzo fa e di un movimento no global che è sembrato questa volta non solo più grosso ma anche più adulto.

E tuttavia sarebbe riduttivo chiudere il tutto con un «Te Deum» per le vetrine inviolate di Firenze o un «Gloria» per registi e comparse esemplari. La riunione del Social forum non è un’ondata di piena dell’Arno che appena passata si dimentica con un sospiro di sollievo, con tanti complimenti ai pompieri che hanno fatto egregiamente il loro dovere e con tanti ringraziamenti per l’acqua che si è tenuta educatamente sotto i ponti.

In realtà l’aver ridotto le riunioni del Social forum ad una questione di ordine pubblico, ne ha in qualche modo anche oscurato le motivazioni e i contenuti confinati i poche righe sommarie e confuse sotto titoli che grondavano preoccupazione o esaltavano soprattutto i numeri e l’imponenza della manifestazione. Così fra un forum e l’altro nulla cambia se non il livello di curiosità e di partecipazione oltre ai vari tentativi più o meno riusciti o maldestri di mettere il cappello sopra ad un movimento ribelle per sua natura a mettersi al rimorchio di chiunque. E il movimento stesso appare con un fiume carsico che affiora e scompare con il ritmo dei suoi appuntamenti che hanno soprattutto il significato di ricordare come in una liturgia cadenzata le tragedie del mondo.

Se il movimento no global acquista eco e consensi ciò è dovuto soprattutto al suo richiamo per l’incancrenirsi di problemi le cui dimensioni sono tanto più grandi quanto meno scalfite dalla politica corrente. Al di là di marginali nostalgie da guerra fredda e da postsessantotto rimangono al centro del suo richiamo la forbice sempre più ampia fra ricchi e poveri. Il cappio del debito che quasi nessuno riduce, l’aiuto umanitario ridotto ai minimi storici, la questione della agricoltura che è insieme il nocciolo della fame e il guasto del produttivismo esasperato. La questione della guerra e della pace come nodo cruciale del nostro tempo. E se si dovrà porre attenzione d’ora in avanti a questi temi non è per premiare dei ragazzi che a Firenze si sono dimostrati più buoni del previsto, ma perchè i temi sono nostri come loro anche se tutti non siamo d’accordo su come affrontarli e risolverli.

Ma ciò che rimane scoperto oggi è appunto questa frattura fra la protesta e la proposta, l’assenza di chi si faccia carico nella tessitura politica di questi problemi tanto più ingovernabili quanto più sono mondiali. Quando La Pira a suo tempo convocava a Firenze i suoi famosi convegni voleva che non mancassero all’appello né i leader rappresentativi né i leader politici. E quando la politica gli sembrava latitante non aveva paura a presentarsi nei palazzi del potere magari facendosi prestare un’auto blu per dire che faceva sul serio e che rapprsentava più di qualcosa e più di qualcuno. Oggi di questi ambasciatori che siano mediatori nel duplice senso di trasmettere dal basso verso l’alto e di comporre diverse istanze nel bene comune c’è un grande bisogno anche se ben pochi se ne scorgono, ahimé, all’orrizzonte.

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