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Se gli applausi rischiano di coprire le parole

Giuseppe SavagnoneSono fonte di grande soddisfazione l’accoglienza entusiastica e lo scroscio degli applausi che hanno salutato – anche se in modo alterno, ora da destra ora da sinistra – il discorso pronunciato dal Papa a Montecitorio. E tuttavia non possiamo non chiederci se essi non rischiano di coprire, più che di sottolineare, la forza di quel discorso e la critica radicale in esso implicita, non nei confronti dell’uno o dell’altro schieramento, ma del clima culturale e spirituale che, al di là delle reciproche polemiche, li accomuna.

Ben più decisivo dell’invito alla clemenza verso i detenuti – su cui si sono appuntati i commenti dei mass media – ci sembra essere stato, da questo punto di vista, il richiamo di Giovanni Paolo II alla «cooperazione solidale e generosa all’edificazione del bene comune». Rivolte a un Parlamento che, in questi ultimi anni, ha visto il decadere del dibattito politico a cieco scontro frontale e a scambio di insulti, queste parole meritavano forse di essere accolte da un imbarazzato silenzio. Sarebbe stato il segno che erano state veramente capite.

Allo stesso modo, sarebbe stato a nostro avviso più opportuno che, quando Giovanni Paolo II ha denunziato «il rischio dell’alleanza fra democrazia e relativismo», i nostri uomini politici, e con essi tutto il Paese, invece di dare un facile consenso, si chiedessero se non è precisamente questo relativismo che sta alla base del modo corrente di intendere, oggi, la «tolleranza».

Passando a temi più particolari, tutti hanno applaudito quando il Papa, in nome del primato dell’essere della persona e della sua formazione culturale, ha detto che «una Nazione sollecita del proprio futuro favorisce lo sviluppo della scuola in un clima di libertà»: ma a battere le mani c’erano sia coloro che per motivi ideologici si rifiutano di ammettere altra educazione che quella, asettica, proveniente dallo Stato, sia gli esponenti di una maggioranza che, dopo aver largheggiato in altri settori (per esempio abolendo le imposte sulle successioni miliardarie), dichiara di essere costretta dai «conti pubblici» a tagliare drasticamente i fondi alla scuola.

Non meno attuale il riferimento del Pontefice al «clima morale che predomina nei rapporti sociali e che attualmente trova una massiccia e condizionante espressione nei mezzi di comunicazione». Ma tutti sappiamo bene che, per molti di coloro che ascoltavano, proprio la liquidazione, in nome della libertà individuale, di ogni limite etico posto a comportamenti personali, spettacoli, trasmissioni televisive, ha costituito e costituisce la meta a cui la nostra società deve tendere per essere «moderna».

Queste considerazioni non cancellano, tuttavia, ciò che di ampiamente positivo la visita del Papa a Montecitorio rappresenta, e non solo per quanto riguarda i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa, ma anche a livello culturale e spirituale. La commossa adesione che la persona e le parole del Pontefice hanno suscitato corre, certamente, il rischio di esaurirsi in una fugace reazione emotiva. Ma, a partire da essa, si può sviluppare nei nostri uomini politici e nell’intera società italiana una più pacata riflessione che confronti alcuni stili di pensiero e di comportamento oggi diffusi con il forte messaggio che Giovanni Paolo II è venuto a portare. Se questo accadesse, la visita a Montecitorio non sarebbe un punto d’arrivo, ma di partenza. E il nostro Paese ne ha davvero bisogno.

Il testo integrale del discorso del Papa

Il discorso del Presidente della Camera

Il discorso del Presidente del Senato