Opinioni & Commenti

La «buona» storia non s’impone per legge

Il Governo ha naturalmente respinto la delibera della commissione Cultura del nostro Parlamento riguardante la “revisione” dei testi scolastici di storia. Non poteva essere diversamente: esso non ha alcuna autorità né alcuna competenza in materia: i tempi del “libro di Stato” sono tramontati per sempre. Se qualcuno in questo Paese ha voglia di soluzioni autoritarie, dovrà trovare altri strumenti. Al di là di ciò, quello che dovrebbe preoccuparci, è l’effettivo livello culturale e l’autentica sostanza intellettuale di molti dei nostri parlamentari: una risoluzione come quella che è stata prevedibile oggetto di scandalo sembra davvero partorita da mentalità puerili, da persone rimaste all’idea che la storia la si studia e la si impara sui “Bignami” e sui “Bigini”.

In realtà, la storia è senza dubbio una scienza: ma non è una scienza né “pura” né “esatta”. Anzi, le scienze “pure” e “esatte” in realtà non esistono. Ogni scienza è un sapere rigidamente costruito, che varia nei suoi presupposti, nei suoi metodi e nei suoi risultati con il processo storico. Non esistono, in nessun campo scientifico, risultato obiettivi, incontrovertibili, irreversibili.

L’espressione “il Tribunale della Storia” è una delle più stupide che io conosca. La storia è esegesi incessante sul passato, condotta attraverso l’analisi dei testi ma con l’aiuto necessario di metodi e di supporti interpretativi che non sono arbitrari, ma che appartengono alla sostanza fisiologica stessa di tale disciplina. In altri termini, quello della “storia oggettiva” è un fantasma ridicolo nel quale può credere solo chi la storia non sa nemmeno dove sta di casa; o chi ritiene che sia storia quella scritta dai pomposi e plagiari divulgatori i libri dei quali si acquistano nelle edicole delle stazioni.

Ciò non toglie che, nel raccontare il passato a uso e consumo degli insegnanti e degli studenti delle scuole e delle università, molti studiosi abbiano commesso errori, omissioni, autentiche distorsioni della realtà: e che queste cose abbiano avuto un’origine ideologica. Non sono certo mancati, e non mancano nemmeno oggi, governi e partiti politici, studiosi e intellettuali, che si lasciano tentare da quel che comunemente si definisce “uso della storia”. La storia retorica e patriottarda dell’esaltazione del Risorgimento, che sembra oggi non essere sgradita a qualche parlamentare della Casa delle libertà, non era meno falsa e bugiarda della storia che tutto riduceva a conflitto di classi: era solo meno aggiornata, e di solito anche meno intelligente.

Il punto è che la verità storica, quella che emerge dal libero dibattito fra gli studiosi e dal confronto dei loro metodi e delle loro tesi, non si impone dall’alto, con provvedimenti governativi o con commissioni di eventuali accondiscendenti cultori della materia. Il terreno del dibattito anche politico, nello stesso ambito della scuola, si conquista attraverso una dura e rigorosa battaglia delle idee. Sino all’altro ieri, la sinistra ha spadroneggiato nelle scuole come nella ricerca storica: perché seguiva gramscianamente la tesi che la società civile si conquistava anzitutto attraverso la cultura. Né il centro, né le destre sono state all’altezza di raccogliere questa sfida: l’hanno lasciata spadroneggiare. Non si può accusare l’avversario di essere stato più abile di noi; se in questa abilità vi sono stati aspetti intellettualmente disonesti, allora bisogna dimostrarli. Bisogna smascherare la cattiva storia altrui, non sperare di sostituirla con una cattiva storia di segno opposto.

Se la Casa delle libertà è in grado, come alcuni suoi parlamentari credono sia, di esprimere una storia e un insegnamento di essa migliore, più onesto e più valido di quello della sinistra, s’accomodi. Le case editrici e i fondi necessari ce l’ha o è in grado di trovarli. Possiede anche studiosi, insegnanti, intellettuali in grado di sostenere questa battaglia delle idee? Sino ad oggi, non l’ha granché dimostrato. Se oggi è in grado di farla, s’accomodi: siamo qui ad aspettare la sua performance, e per quanto mi riguarda perfino a sostenerla e a collaborarvi. Ma i provvedimenti di polizia travestiti da commissione culturale, questo no.