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Le «imprudenze» profetiche di Giovanni XXIII
Si sa quali erano, in quel tempo, le imprudenze di Roncalli secondo l’ottica del piccolo provincialismo politico che trent’anni dopo sarebbe andato a carte quarantotto coinvolgendo, nella rovinosa caduta, anche qualche onorato nome cristiano. Le frasi incriminate erano queste: Va altresì tenuto presente che non si possono identificare false dottrine filosofiche con movimenti storici , anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventisi, non possono non subirne gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi. Specialmente dopo lo straordinario 1989 che segna il tracollo delle dottrine elaborate e definite, in particolare dell’ideologia comunista, possiamo constatare quanto, sul piano universale, sia stata esatta la lettura dei segni del tempo contenuta nella Pacem in Terris. Preveggente, semmai. Non imprudente.
L’altra imprudenza, dal punto di vista della guerra fredda che allora produceva ragionamenti implacabili, stava in un’altra frase che allarmò gli strateghi dell’imperante equilibrio del terrore. Si diffonde sempre più tra gli esseri umani la persuasione che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il ricorso alle armi ma, invece, attraverso il negoziato. Vero è che sul terreno storico quella persuasione è piuttosto in rapporto con la forza terribilmente distruttiva delle armi moderne; ed è alimentata dall’orrore che suscita nell’animo anche solo il pensiero delle distruzioni immani e dei dolori immensi che l’uso di quelle armi apporterebbe alla famiglia umana; per cui riesce quasi impossibile pensare che, nell’era atomica, la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia. In latino la frase dell’enciclica sembrava anche più forte. Alienum est a ratione bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda. E’ lontano dalla ragione oppure riesce quasi impossibile pensare. Come che sia in latino o in italiano. Nessuna istituzione umana, in quel lontano 1963, ha avuto la forza morale e l’intuizione culturale per avvertire, come ha fatto la Chiesa con la Pacem in terris, che l’avvento dell’epoca nucleare cambiava i termini stessi del rapporto fra i popoli rendendo antiquato il criterio classico del si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra, per sostituirlo con un nuovo realismo: se vuoi la pace, prepara la pace. Insomma annunciando quel tempo di metànoia, del cambiar mente, del nuovo modo di pensare che Paolo VI, alle Nazioni Unite, abbinerà al grido mai più la guerra.
Il nuovo modo di pensare che Giovanni Paolo II ha fatto quasi l’emblema del suo pontificato. Contributo necessario e largamente inascoltato a quel disarmo degli spiriti che si deve accompagnare agli altri disarmi materiali. Come diceva, appunto, la Pacem in terris di Papa Giovanni.
Pacem in terris, un impegno permanente. Il messaggio per la Giornata della pace 2003