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Senza l’Onu gli Stati Uniti tradiscono anche la loro storia

di Romanello CantiniDa quando l’Onu è stata fondata sessanta anni fa gli Stati Uniti hanno cercato sempre la licenza del Palazzo di Vetro per i loro interventi militari. Nella guerra di Corea le truppe americane arrivarono con la bandiera azzurra dell’Onu. Nella guerra del Golfo la coalizione contro Saddam fu organizzata in nome delle Nazioni Unite. Se gli americani decidessero oggi di ignorare o di sconfessare l’Onu per marciare soli contro l’Iraq compirebbero non solo una scelta arrogante. Commetterebbero anche un tradimento contro la loro storia e sconfesserebbero padri della patria come Wilson e come Roosevelt che dell’Onu furono inventori e costruttori.

Sappiamo tutti i limiti di rappresentatività e di efficienza delle Nazioni Unite di oggi. E tuttavia l’organizzazione del Palazzo di Vetro mantiene alta la sua autorità morale e il suo prestigio (basterebbe ricordare i tredici Nobel per la pace assegnati nel tempo alle sue organizzazioni e ai suoi segretari fra cui l’ultimo Nobel attribuito a Kofi Annan due anni fa).

L’Onu non è un’invenzione burocratica da ignorare né un battibecco inconcludente da baipassare. L’Onu è il parto doloroso della catastrofe di due guerre mondiali, la speranza nata dalla disperazione per le ragioni di stato e i nazionalismi sempre sanguinanti. L’idea di una istanza superiore, di un arbitro supremo nasce già quattro secoli fa, quando Galileo scriveva che la guerra era il passatempo capriccioso dei principi, passa attraverso i progetti di pace perpetua dell’Ottocento per arrivare alla fine alla Carta di San Francisco.

La Pira ci ricordava che la guerra fra le nazioni avrebbe potuto essere superata solo quando tutti gli stati fossero stati disarmati a vantaggio di una unica autorità sovranazionale e mondiale. Ci diceva che, come all’inizio della storia si erano disarmati gli individui per affidare il potere di repressione solo allo stato, così ora «sul crinale apocalittico della storia» tutti gli stati dovevano essere disarmati a vantaggio di un unico potere rappresentativo di tutto il pianeta.

Non siamo ancora nei pressi di questa utopia. E tuttavia già la Pacem in terris e la Populorum progressio ribadiscono quanto il ruolo dell’Onu sia fondamentale oggi. Ora che si discute quando e se la guerra sia mai giusta, fra le numerose e strette condizioni c’è quella che sia comunque decisa anche da «un principe legittimo», per dirla con San Tommaso, ed oggi questa autorità è comunemente identificata ormai solo nell’Onu.

In concreto oggi una guerra dichiarata unilateralmente dagli Stati Uniti apparirebbe una avventura a dispetto o contro il resto del mondo di cui l’Onu è vista come l’istanza rappresentativa. La inedita teoria della guerra preventiva apparirebbe ancor più contestabile come un prodotto fatto in casa a proprio uso e consumo. Nel momento in cui il terrorismo viola la legalità internazionale in nome della rottura di ogni regola di convivenza, anche una risposta fuori delle norme e senza il crisma della comunità internazionale non può che rafforzare il tutto è permesso di qualsiasi atto eversivo.

L’Onu rappresenta, seppure sommariamente, il Nord e il Sud, l’Est e l’Ovest. Ma una guerra dichiarata unilateralmente dalla maggiore potenza occidentale potrebbe facilmente essere descritta come lo scontro dell’Occidente contro l’Oriente, magari del Nord contro il Sud. Più a suo agio la propaganda di Al Qaeda potrebbe insistere su quella guerra dei «nuovi crociati contro l’Islam» che è il suo slogan ossessivo ma anche la sua invocazione.

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