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Una Pasqua che ha scosso le coscienze
Wojtyla, il pontefice della speranza. E’ stato il presidente Ciampi a cogliere – e il suo non è apparso per nulla un messaggio formale – il senso di ammirazione per quest’opera appassionata che Giovanni Paolo II svolge con determinazione, interpretando un sentimento collettivo che va ben al di là dei confini della stessa Chiesa cattolica. In uno scenario dove i concetti di libertà e giustizia vengono stravolti e persino il nome di Dio è oltraggiato per giustificare conflitti di potere che nulla hanno di religioso, il Santo Padre appare come un faro rassicurante, un punto fermo a cui ancorare un futuro diverso.
Che il nostro pianeta appaia tutto un cimitero, che ogni continente custodisca le innumerevoli tombe delle vittime di una violenza insensata, più che un grido di dolore appare una constatazione. Tanto che il Papa ha potuto, con drammatica attualità, riproporre la stessa denuncia che aveva fatto ai tempi della guerra fredda, senza doverne purtroppo cambiarne una virgola.
Eppure mai come in questo tragico periodo, con il terrorismo che ordisce le sue trame e una guerra, come quella in Iraq, che ha concluso solo la fase dei campi di battaglia, ma che conserva intero il suo potenziale di violenza, le parole di Giovanni Paolo II sono state un baluardo per la speranza. Si potrebbe dire, paradossalmente, che per merito suo la Pasqua – che non riempie ma svuota la tomba sconfiggendo la morte e il peccato – ha scosso le coscienze di tutti, no n è apparso solo un evento celebrato dai cristiani. Perché, in questo inizio di millennio che aveva suscitato tante speranze di dialogo e di solidarietà, appare veramente interminabile questo venerdì santo dell’umanità. E genera un senso di angoscia da cui non è facile liberarsi.
Pervaso dalle scie di sangue e di violenza che attraversano ogni parte del mondo, come ha ricordato il Papa, nel suo messaggio “Urbi et Orbi”: dall’Iraq alla Terra Santa, a tante, moltissime guerre che non fanno neppure più notizia.
Ma il venerdì del dolore può essere vinto dalla gioia della Pasqua, costruendo un mondo dove amore e giustizia, verità e libertà non siano concetti astratti e svuotati, ma offerta di dialogo e solidarietà. Di questo l’umanità deve essere consapevole, anche se l’unico a ricordarlo è un anziano Pontefice, l’unico che ai nostri giorni sa alzare con fermezza la voce senza farsi irretire da alcun interesse, se non dalla sua fede in Cristo.
Ecco dunque una ragioni per cui il suo magistero morale spinge alla riflessione, e rappresenta la coscienza dell’umanità: le sue parole sono credibili perché in lui i valori a cui si ispira diventano azione, non c’è distanza tra fede e vita. Mentre troppo spesso altrove di quei valori si fa mercatino per giustificare la guerra. Persino del nome di Dio ci si appropria indegnamente, per muovere un popolo contro un altro.
Anche questo è un segno del lungo venerdì di dolore che affligge l’umanità: che il nome di Dio serva a dividere non a rendere gli uomini più solidali. E’ la massima negazione del Dio dell’amore, mentre – chiede il Papa – la fede e l’amore di Dio devono rendere i credenti protagonisti di comprensione e perdono, pazienti tessitori di un dialogo tra le religioni per un’era nuova di giustizia e di pace.
Non appare facile, mentre i fondamentalismi sembrano dominare la scena. Ma occo rre coltivare la speranza, con la stessa fiducia con cui il Papa indica all’umanità il sepolcro dove l’amore di Dio ha vinto la morte.