Opinioni & Commenti

Diffondere falsità, tentazione su scala mondiale

di Vittorio CitterichLa guerra irachena è stata vinta rapidamente dall’alleanza angloamericana, come del resto era prevedibile per la clamorosa sproporzione delle forze, mentre il crudele regime di Saddam Hussein si è disfatto quasi senza opporre resistenza e senza por mano, fortunatamente, alle famose armi proibite che avevano motivato l’invasione e di cui, per ora, non si è trovata traccia. Forse l’opera dei servizi segreti e la compravendita dei gerarchi sono stati elementi ancor più decisivi degli armamenti nel determinare l’esito del conflitto. Potevano pensarci prima. Le perdite di vite umane che, nelle guerre tecnologiche condotte con «armi intelligenti», vengono lievemente ascritte tra gli «effetti collaterali», quasi che l’uccisione del nemico non fosse, invece, lo scopo principale di una guerra, sono state calcolate in 172, da parte americana, e 33 da parte inglese. Per gli iracheni, militari o civili, sottoposti a bombardamenti più o meno «chirurgici», non c’è analoga contabilità. In questi casi, secondo antiche e rinverdite consuetudini coloniali, si sa che la vita degli «indigeni» conta comunque meno della vita degli altri.

Si può concludere, con «la Civiltà cattolica», che lo svolgimento delle cose «ha mostrato chiaramente che non c’erano motivi sufficienti per muovere guerra all’Iraq, poiché questo Paese non costituiva un vero pericolo per gli Stati Uniti e per i loro alleati». E tuttavia l’insieme dei più potenti mezzi di comunicazione mondiali stanno diffondendo, a piene mani, l’opinione contraria. Si diffonde, cioè, nel mondo, dopo l’esito della guerra all’Iraq, una più generale apologetica della guerra come evento risolutore dei conflitti, secondo il criterio del «diritto del più forte»; e, in parallelo, viene diffusa anche la convinzione della sterilità delle Nazioni Unite per la ricerca di un nuovo ordine mondiale che, in questa nuova fase d’apologia bellica, meglio potrebbe essere assicurato dagli armamenti e dall’economia di una sola superpotenza cosmica.

In questa situazione cade opportuna la riflessione cui ci invita Giovanni Paolo II su «I mezzi di comunicazione a servizio di un’autentica pace alla luce della Pacem in terris». L’enciclica di Papa Giovanni indicava ne «la verità, la giustizia, la carità e la libertà» i pilastri di una società pacifica e, come ben ricordiamo, fu un segnale di speranza per gli uomini di buona volontà, in un mondo diviso in blocchi che procedeva sul crinale dell’apocalisse nucleare. Allora come oggi i mezzi di comunicazione cristianamente ispirati rendevano coraggiosi servizi di verità, coerenti con l’insegnamento profetico della cattedra di Pietro, in un contesto nel quale i mezzi più potenti «talvolta funzionano come agenti di propaganda e disinformazione, al servizio di interessi ristretti, di pregiudizi nazionali, etnici, razziali e religiosi, di avidità materiale e di false ideologie di vario tipo».

L’estensione globale dei media, specialmente televisivi, e l’impatto che esercitano sulla vita dei popoli comporta dunque la responsabilità di non favorire le divisioni.Esiste, lo vediamo su scala mondiale, la tentazione di diffondere falsità «creando un clima di insana emotività di fronte agli eventi» e quindi adattando la verità «al fine di soddisfare le pretese dei ricchi e del potere politico».

Si ritrovano tutti questi limiti, indicati nella memoria sempre viva della «Pacem in terris», anche nel nuovo bellicismo successivo alla conclusione della «vittoriosa» guerra irachena. Il compito dei mezzi di comunicazione, invece, è quello di abbattere le barriere della diffidenza per favorire un’estesa riconciliazione che sia interna all’Iraq oppure fra israeliani e palestinesi. Perché – come appunto diceva Papa Giovanni – «la difesa della pace deve dipendere da un principio radicalmente differente da quello che è in vigore oggi. La vera pace fra le nazioni non dipende da un uguale rifornimento di armi, ma unicamente dalla fiducia reciproca». Oggi le occasioni di informare per la pace non mancano.

Messaggio del Papa per la Giornata delle comunicazioni sociali 2003