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Terra Santa, nel difficile cammino della pace c’è un ruolo per tutti

di Romanello CantiniIl Medio Oriente ci riprova. Questa volta il progetto di pace si chiama Road map («Carta stradale») ed è sostenuto dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea, dalla Russia, dall’Onu. È questa l’ennesima occasione che in quasi 60 anni si presenta a israeliani e palestinesi per trovare quella pace che sinora è sempre abortita anche quando sembrava vicina a nascere. Ogni guerra per sua natura ha un inizio e una fine.

Questo conflitto è l’unico che, nonostante la somma delle sue vittime e delle sue sofferenze, non siamo riusciti a mettere ancora dentro una parentesi. Per sfatare questa maledizione, per continuare a credere che, nonostante tutto, la pace deve essere la regola e non l’eccezione, tutto deve essere fatto e tentato per riaccendere proprio intorno a Gerusalemme un barlume di speranza. Eppure proprio la montagna di odio che si è accumulata negli ultimi anni, la violenza che da una parte e dall’altra sembra aver rotto tutte le regole è oggi il primo ostacolo alla pace. Qui, in fondo, è stata inaugurata la guerra preventiva con l’eliminazione dei presunti terroristi prima che potessero agire. Qui si è incominciato ad uccidere non solo nelle trincee e nei carri armati, ma anche, e alla fine soprattutto, nei bar e negli autobus.

Le società israeliana e palestinese si sono chiuse a riccio ognuna dolorante per le proprie ferite, ognuna incapace di fare il primo passo non diciamo di perdono, ma nemmeno di tregua. Il capo del governo israeliano Sharon è incapace di controllare gli estremisti anche del suo partito e soprattutto di convincere le centinaia di migliaia di coloni israeliani che dovrebbero abbandonare i loro insediamenti nei territori occupati. Dall’altra parte il nuovo leader palestinese Abu Mazen non riesce ad imporre una tregua negli attentati terroristici agli estremisti di Hamas e della Jihad islamica. Alcune indagini sembrano addirittura indicare che queste formazioni rappresentano ormai la maggioranza della popolazione dei territori occupati. Il primo ministro dell’Autorità palestinese non può disarmare gli estremisti se non al prezzo di una guerra dentro la guerra, di una guerra civile fra palestinesi da cui probabilmente sortirebbe perdente visto anche lo smantellamento delle sue strutture militari operato dagli stessi israeliani. Si fa presto a dire di isolare gli estremisti quando ad essere soli da una parte o dall’altra sono forse oggi proprio i moderati.

Se c’è una novità positiva in questo nuovo tentativo di pace è l’interesse da un lato degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e dall’altro degli Stati Arabi moderati come l’Egitto, l’Arabia Saudita, la Giordania, il Marocco. Ma ognuno deve far la sua parte imponendo a Sharon la fine delle uccisioni mirate e alle organizzazioni estremiste palestinesi una tregua negli attentati suicidi. Al punto in cui siamo anche alcune settimane senza morti da una parte e dall’altra sarebbero già un successo oltre che una premessa indispensabile per parlare di pace quando almeno ci si è dati una pausa di riposo nell’uccidere.

Israeliani e Palestinesi: le radici dell’odio (di Franco Cardini)