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Matrimoni, se il giorno più bello si trasforma in quello più ridicolo
Ma per carità! Vuoi mettere una cappellina di campagna, isolata quanto basta e circondata dal verde? È più chic, fa vip e le foto ci guadagnano. E poi, vogliamo rischiare di fare una figuraccia con gli invitati dando loro appuntamento in un’anonima parrocchia? Non sia mai! L’originalità dove la mettiamo? Già, perché sembra che il giorno del fatidico sì, anziché il più bello della vita (aspetto sempre più opinabile, statistiche alla mano), debba necessariamente essere il più ridicolo.
E se gli sposi cercano di fare la loro parte come da copione, amici e parenti contribuiscono non poco con le immancabili scritte «ripensaci, torna indietro» ed inevitabili scherzetti o brindisini all’uopo poco acconci, se non decisamente sconci. Il colpo di grazia poi lo danno i fotografi, con interminabili sedute di posa alla ricerca del miglior fotogramma a stelline o con effetto «flou». E non è detto che lo sfondo del momento sia quello «giusto». Allora via verso il parco o il panorama di turno. E gli invitati? Già duramente provati, in preda a vampe e aloni di sudore, se come succede l’assenza degli sposi si protrae più del dovuto, si profondono in malcelate smanie anelando il sospirato buffet. Un matrimonio «che si rispetti» è insomma tutto questo. Ma ora un vescovo «insensibile» al moderno sentimento nuziale rischia di incrinare la codificata ritualità.
Per agriturismi e ristoranti di campagna non c’è che una soluzione: ovviare all’inconveniente offrendo un più ampio carnet, con chiese più frequentate ma ugualmente attraenti, nonché cambiamento provvisorio di residenza in modo che sposo o sposa possano risultare «parrocchiani» a tutti gli effetti. Fatta la legge, trovato l’inganno: basta un minimo d’inventiva e siamo a cavallo. Anche questo, ovviamente, compreso nel pacchetto nuzial-agrituristico.