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Dalla fragile tregua in Terra Santa alla guerra senza fine in Iraq

di Romanello CantiniFragile e dipendente come un bambino appena nato la tregua in Palestina continua, nonostante tutto, a tenere. È un equilibrio estremamente precario, un gioco di pesi e contrappesi che finora riesce a tenere in bilico una bilancia attraverso una serie di concessioni simultanee da una parte e dall’altra. Da parte israeliana è cominciato il ritiro dai territori occupati, a partire dalla striscia di Gaza e da Betlemme e si è iniziato il rilascio di qualche centinaio dei migliaia di prigionieri palestinesi

Da parte palestinese c’è l’impegno, seppure temporaneo, a sospendere gli attentati suicidi ed anzi il premier Abu Mazen ha fatto arrestare anche qualche terrorista colto nell’atto di preparare una strage. Ognuno guarda anche alle piccole azioni di buona volontà dell’altro per poter compensarle con le proprie. La fiducia, piccola o grande che sia, è ormai la moneta con cui si cerca di tessere i primi rapporti fra due popoli divisi da oltre mezzo secolo.

Come in una difficile acrobazia da circo basta un urlo per far crollare l’incantesimo: un nuovo assassinio mirato da parte di Israele, un nuovo attentato da parte dei palestinesi. Siamo solo all’abc della pace, ai primi passi timidi di un lungo percorso in cui il più difficile è ancora da affrontare. Quando, ad esempio, si dovrà convincere da parte israeliana, con le buone o con le cattive, le centinaia di migliaia di coloni ad andarsene dai territori occupati.

Quando da parte palestinese si dovrà disarmare le organizzazioni di Hamas e della Jihad islamica che hanno accettato la tregua solo come espediente tattico e per cui la guerra è un mezzo per cancellare Israele dalla carta geografica e non solo per dare una patria al popolo palestinese. E ancora più avanti quando si dovrà affrontare il nodo di Gerusalemme con i nervi scoperti delle innumerevoli pietre sacre ad entrambe le religioni o il ritorno dei milioni dei profughi palestinesi con il problema della salvaguardia della identità nazionale di Israele. «Coraggio – avrebbe detto Flaiano – il meglio è passato».

Eppure se la strada della pace appare così lunga e impervia c’è una risorsa nuova che ora ci si accorge di potere spendere. E questo valore aggiunto è proprio il gusto della normalità, l’abitudine alla tregua e alle sue ricadute positive anche in termini economici su una parte e sull’altra che ora sembra lentamente e faticosamente conquistare la popolazione dei due campi opposti. Nelle ultime settimane sono riapparse tendenze che sembravano ormai sepolte a rifiutare il terrorismo e la violenza con manifestazioni aperte nell’ambito delle due società civili. Nessuno può pensare in fondo di eliminare gli irriducibili da una parte e dall’altra solo con la forza o con una guerra civile nella guerra civile.

Ma il processo di pace che regge e si irrobustisce può lentamente isolare anche se non sconfiggere gli estremisti e ridare consenso sempre più ampio a chi crede nel dialogo. È su questa carta che ormai sembra puntare anche l’amministrazione americana con un Bush disposto a sborsare 300 milioni di dollari per rafforzare l’Autorità palestinese di Abu Mazen. Un Bush che nel frattempo si accorge dell’Africa e corre a visitarla mentre le notizie che giungono dall’Iraq sembrano far dubitare che anche la guerra non sia il modo migliore per sconfiggere il terrorismo.