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Tv, una «meraviglia» incapace di mantenere le promesse
Quarant’anni fa, il 4 dicembre 1963 (data della pubblicazione dell’Inter Mirifica), i padri conciliari, con preveggenza, mettevano la giovane televisione «tra le meravigliose invenzioni tecniche». Di lì a poco avremmo visto in diretta l’uomo camminare sulla luna, avremmo visto la guerra nel Vietnam, l’elezione di Giovanni Paolo II, la finale Italia-Germania, i funerali di Lady Diana e di Madre Teresa, il raduno di Tor Vergata…, fino al crollo delle Torri Gemelle.
La tv è stata strumento di unificazione linguistica, di cultura, di informazione e di svago, ma anche, e forse soprattutto, di massificazione. È diventata il focolare domestico, il «sempreacceso», la baby-sitter. Sul piccolo schermo è passato di tutto, compresi grandi fratelli e isole dei famosi. La tv ha cambiato gli italiani così come ha cambiato parte del mondo e parte lo sta per cambiare. La tv ha trasformato i valori, in qualche caso li ha stravolti, ha predicato l’effimero, ci ha resi consumatori prima ancora che persone: merce da vendere agli inserzionisti.
Quella tv che quarant’anni fa il Concilio metteva «tra le meravigliose invenzioni tecniche» non è riuscita, in gran parte, a mantener fede alle promesse. Colpa anche di una classe politica incapace di mettere mano nel corso dei decenni ad una legge organica che regolasse l’intero sistema radiotelevisivo. Si è sempre preferito fotografare l’esistente confermando così, dalle Legge Mammì in poi, il duopolio Rai-Mediaset e la spartizione in due di una torta pubblicitaria che ha spinto le reti ad una programmazione al ribasso.
E di recente, la classe politica l’ha fatta talmente grossa da costringere il presidente della Repubblica a rimandare al Parlamento la cosiddetta Legge Gasparri, che andava addirittura contro la Corte Costituzionale. Bravi comunque i ministri che in quattro e quattr’otto (15 minuti per l’esattezza) e senza il presidente del Consiglio hanno varato il decreto salva Rete4 e RaiTre. Se ne riparla a maggio.