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I figli? Frecce di speranza lanciate verso il futuro

di Carlo CasiniIl tema della «Giornata per la vita 2004» potrebbe apparire banale, «Senza figli non c’è futuro»: è ovvio. Ma la banalità scompare se fantastichiamo che da ora in poi nemmeno un figlio nasca nel mondo. La storia umana terminerebbe. Come se fosse avvenuta una guerra atomica totale. Dunque i figli sono la garanzia della storia. Anzi di un senso della storia. Sono frecce di speranza lanciate verso il futuro.

Abbandonando l’ipotesi fantasiosa il rischio è che il tema sia commentato soltanto in chiave economico-sociale. Bisogna avere più figli per non far esplodere il problema delle pensioni e per non estinguere la gente italica. È vero, ma, anche restando su questo terreno c’è qualcosa di più profondo da cogliere. Ha scritto Ganoczy: «I valori morali salvano la terra anche in senso materiale». Se non ci fossero stati, dal 1978 ad oggi, 4.200.204 aborti (il numero non comprende quelli illegali) non ci sarebbe l’inverno demografico e molti problemi economici non sarebbero così drammatici. Dunque lo stupore di fronte al mistero del figlio si infittisce.

È logico che la giornata per la vita richiama l’aborto volontario. Essa, infatti, fu istituita all’indomani della legge sull’aborto per dimostrare, come allora scrissero, «che la Chiesa non si rassegna e non si rassegnerà mai». Dunque lo sguardo deve rivolgersi, senza prudenti diplomazie, verso «il più povero dei poveri» (Madre Teresa di Calcutta) di cui molti vogliono rimuovere persino il nome asettico di «embrione», per chiamarlo «masserella genetica», per non vedere «uno di noi» (Comitato nazionale di bioetica). Eppure il passaggio dal nulla all’esistenza avviene proprio con il concepimento. In quel momento, dunque, il figlio è la «creazione in atto», quella vera, non quella della materia incapace di amare cominciata con il big bang di oltre 13 miliardi di anni fa. Perché «quel piccolo bambino non ancora nato è stato creato per una grande cosa: amare ed essere amato» (Madre Teresa).

Per fortuna la legge sulla fecondazione artificiale umana dice che egli è un soggetto che ha diritti. I giuristi finalmente sono stati costretti a guardarlo e il risultato è grandissimo.

Mi ci vuole uno sguardo più profondo per capire che lui, già all’inizio, non si chiamava «zigote», ma «parola d’amore». Cioè «dono», non «prodotto» della scienza e della tecnica; non oggetto che si può distruggere con l’aborto, se non desiderato, o possedere a qualsiasi costo, anche di uccidere molti suoi simili e di dissolvere la famiglia. In questo la cultura abortista e le scomposte polemiche mostrano la loro comune matrice. Bisogna dunque difendere la legge «imperfetta» che elimina il far west procreatico, con verità e determinazione, ma sapendo e insegnando che il mistero della dignità umana ha esigenze ben più grandi di quelle che fortunatamente la legge ha potuto raccogliere.

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