Opinioni & Commenti

Segni religiosi e procreazione assistita, quando in troppi confondono laicità con laicismo

di Giuseppe SavagnoneC’è un elemento comune tra la decisione del Parlamento francese di vietare l’esibizione pubblica di segni religiosi evidenti e le reazioni aspramente negative di una parte consistente della classe politica e della stampa italiane all’approvazione finale della legge sulla procreazione assistita, appoggiata dai cattolici. Questo elemento è il richiamo deciso, in certi casi perfino accorato, alla laicità dello Stato. Non è la prima volta, del resto, che il tema della laicità viene utilizzato, nel dibattito politico, per escludere ogni riferimento alla prospettiva religiosa. Per quanto riguarda la Francia, non va dimenticato che proprio il governo di questo Paese ha posto il suo veto a qualunque accenno, nella bozza della Costituzione europea, alle radici cristiane dell’Europa. Quanto all’Italia, la grande stampa, specialmente quando sono in gioco questioni etiche, come nel caso della legge sopra menzionata, non perde occasione per ribadire che la piena libertà dei credenti di aderire ai dettami della loro fede non deve comportare, da parte loro, la pretesa di imporre questi dettami a chi credente non è, e che lo Stato deve decidere le suddette questioni in totale indipendenza da ogni criterio religioso.

È come se il principio della laicità implicasse, agli occhi dei suoi sostenitori, una totale esclusione della sfera religiosa dalla vita pubblica. L’esigenza è quella di evitare, in una società che ormai è decisamente pluralista, ogni forma di prevaricazione da parte dei seguaci di una fede nei confronti di quanti aderiscono alle altre o di coloro che non ne professano nessuna. Perciò si rivendica la libertà dello Stato da ogni condizionamento e si rivendica la sua neutralità.

Solo che questa libertà viene concepita in termini negativi, come esclusione delle diversità, piuttosto che, in positivo, come accoglienza e rispetto nei loro confronti. In questo modo, però, si opera una separazione tra lo Stato, ridotto a contenitore vuoto e necessariamente separato dalla vita reale della gente, e la società, dove le differenze ci sono e chiedono di essere riconosciute anche a livello pubblico. In realtà , lo Stato non può simulare artificiosamente una monolitica compattezza, che lo estranea dalla ricchezza delle variegate espressioni culturali e religiose operanti nella società civile, ma ha precisamente il compito di dare spazio a queste diversità, regolamentando le modalità del loro reciproco confronto.

Ma alla base di questo fraintendimento della laicità dello Stato sta un pregiudizio più radicale: sta, cioè, l’idea che la fede, in quanto tale, sia in antitesi con la ragione e debba dunque essere esclusa dalla sfera pubblica – che sulla ragione si fonda – come fatto meramente privato. Un’idea che contrasta con la visione, per esempio, della Chiesa cattolica, la cui tradizione è tutta ispirata dalla convinzione che fede e ragione non solo non siano in contrasto, ma anzi risultino indispensabili l’una all’altra per il loro corretto esercizio. Perciò la posizione dei credenti si esprime, nell’ambito pubblico, attraverso argomentazioni di carattere razionale – antropologiche, etiche o politiche – , condivisibili (e talora condivise) anche da non credenti, come dimostra la presa di posizione di tanti, tra cui anche Norberto Bobbio, di fronte al problema dell’aborto.

Si ha, certamente, il diritto non essere d’accordo con queste argomentazioni, ma non si può scartarle a priori come espressione di una fede puramente soggettiva. Altrimenti si dà luogo non alla laicità, ma ad un laicismo intollerante, che finisce per avere tutte le connotazioni di un vero e proprio fondamentalismo.

Fecondazione assistita, un polverone contro la nuova legge

La Francia e i simboli religiosi

Clonazione, se la scienza non ha più rispetto dell’uomo