Opinioni & Commenti
Dalle urne un campanello d’allarme per l’Unione
L’aver fatto fallire (si spera non definitivamente) il progetto di Costituzione europea è una grave responsabilità che pesa sui governanti europei e in primis, sul nostro presidente del Consiglio che ha gestito male un semestre delicato e decisivo. Pesano anche le modalità di ingresso dei dieci nuovi Paesi dell’Unione, costretti a grossi sacrifici economici per mettere i conti in regola, ma tenuti ancora alla porta come dei paria per quanto riguarda molti dei benefici (come la libera circolazione dei lavoratori).
Di tutto questo si è sentito parlare ben poco nel profluvio di dibattiti nostrani prematuramente dilagati come al solito in assenza di dati veri. E forse era inevitabile perché tutte le forze politiche e non solo in Italia avevano impostato la campagna elettorale guardando solo al loro paese. Uno strabismo che penalizza l’Unione, ma che non aiuta neanche a leggere correttamente i dati, perché di fronte a questo tipo di consultazioni l’elettore si sente più «libero» nelle scelte. Per l’Italia, poi, c’è la diversità di sistema elettorale il proporzionale puro che rende poco attendibili i confronti con le politiche.
Eppure, anche per l’improvvida scelta di Berlusconi di candidarsi in tutte le circoscrizioni e di invitare ad una sorta di referendum su di sè, qualche indicazioni emerge anche per casa nostra. Il premier esce ridimensionato da questo voto, ma la sua coalizione tiene. Il paese si mostra spaccato in due aree del tutto equivalenti. E i due poli vedono nel rimescolamento di forze interno alle coalizioni motivi di apprensione per il futuro. A destra si apre una difficile verifica dopo un anno di quasi «paralisi» nell’azione di governo. A sinistra la lista unita va benino ma non abbastanza da imporsi ad alleati riottosi e che anzi si trovano rafforzati nel loro potere di interdizione. Tutto il contrario di quella stabilità di cui il paese avrebbe bisogno e che ci potrebbe permettere di pensare un po’ anche al futuro dell’Europa.