Opinioni & Commenti

Sulle riforme costituzionali non sono ammessi giochi politici

di Emanuele RossiQualcuno ha recentemente proposto una metafora «botanica» per descrivere il senso della nostra come di ogni Costituzione: essa sarebbe come un grande albero, alimentato da una linfa rappresentata dall’etica pubblica, con radici costituite dall’idem sentire de republica, e che ha bisogno ogni tanto, come tutte le piante, di alcune «potature» ed «innesti». Questi ultimi interventi, per essere funzionali allo scopo, e cioè per consentire di far crescere la pianta più florida e rigogliosa, devono essere condotti con mano sapiente, perché ogni errore può costare assai caro e pregiudicare la vita della pianta (cioè della Costituzione).

Uscendo dalla metafora, da ormai molti anni nel nostro Paese l’attenzione per la Costituzione sembra essere incentrata più sulle riforme (per lo più prospettate o minacciate, assai più raramente anche realizzate) che sulla sua essenza e perciò sul suo valore: i potatori sono sempre all’opera, ed anzi sembrano gli unici che si preoccupano della Costituzione, ma delle radici e della linfa quasi nessuno sembra darsi pensiero. Ciò rischia di produrre conseguenze assai negative (come già anche Dossetti aveva denunciato, dando vita ai «Comitati per la Costituzione»), ingenerando nell’opinione pubblica l’idea che la Costituzione sia poco più che un ferro vecchio ed arrugginito, e che il gran daffare intorno alla sua modifica ne abbia già decretato, nei fatti, la sua obsolescenza se non – addirittura – la sua morte: se non formale almeno sostanziale. In più sembra invalsa l’idea che ogni maggioranza politica debba farsi la «sua» riforma della Costituzione, quasi che i programma di governo non debbano tendere tanto a far funzionare meglio il Paese, a garantire servizi più adeguati, a realizzare forme più avanzate di giustizia sociale, quanto piuttosto a cambiare l’assetto costituzionale e la distribuzione dei poteri dello Stato. Con l’ulteriore conseguenza di contribuire all’idea di una Costituzione pret à porter, da cambiare come si cambiano gli abiti quando muta la stagione: ma con il rischio reale di fare sì che quell’abito non svolga più la sua funzione.

Ciò vale, sia ben chiaro, in generale, e non soltanto con riferimento alla «stagione riformatoria» che abbiamo davanti agli occhi: c’è forse bisogno di ricordare che è dal 1981 che si parla di «grandi riforme», di Commissioni bicamerali, di nuova forma di governo, ed i problemi veri del Paese sono ancora lì davanti, in attesa di una loro efficace soluzione?Chi ha a cuore il valore della democrazia, che non è solo rispetto delle regole di funzionamento ma anche condivisione dei valori alla base della convivenza, deve vigilare ed operare perché le radici costituzionali siano ben coltivate e la linfa continui a scorrere, e chiedere a chi ne è responsabile di procedere a potature e innesti con saggezza e parsimonia, evitando di ritenere che sulle riforme costituzionali si giochi la bontà di una maggioranza politica.