Opinioni & Commenti

L’Europa tra laicismo e limiti della Costituzione

di Romanello CantiniLa firma a Roma della Costituzione europea è stata celebrata ed esaltata con le espressioni e gli aggettivi dei grandi avvenimenti storici. La soddisfazione per un progetto di convivenza comune che per la prima volta mette insieme un continente è più che giustificata. E tuttavia il percorso dell’unità politica dell’Europa è tutt’altro che compiuto e per certi aspetti, se si pensa al clima del trattato di Roma di quasi cinquant’anni fa, si ha l’impressione che accanto alla strada fatta c’è anche una strada smarrita. L’italiano De Gasperi, il tedesco Adenauer, il francese Schuman, tutti e tre cristiani non clandestini impegnati in politica, che mezzo secolo fa posero le fondamenta dell’unione europea, sarebbero forse oggi emarginati da un laicismo che sembra diventare, visti i tempi che corrono, l’unica e gelosa religione riconosciuta ed accettata dai politici europei di oggi. Nonostante il sostegno di molti governi e del partito popolare europeo, anche ogni riferimento alle radici cristiane è stato alla fine censurato nella carta soprattutto per il veto irremovibile della Francia e del Belgio.

Ed anche per il resto, nel testo approvato, appaiono luci ed ombre. Con la nuova costituzione si consolida e si rafforza la solidarietà sociale con l’obbligo imposto di assicurare ai lavoratori protezione sociale, sicurezza e sanità nell’ambiente di lavoro e il reinserimento nel processo produttivo in caso di disoccupazione. Diventa più vincolante anche la solidarietà territoriale rivolta non solo temporaneamente alle zone in ritardo rispetto allo sviluppo ma anche costantemente alle aree di montagna o di frontiera o a bassa densità di popolazione. Eppure qualche ragione hanno coloro che lamentano anche i limiti dell’intervento nel sociale. La mancanza, per esempio, di ogni riferimento a qualsiasi idea di salario minimo e di associazione sindacale è discutibile soprattutto in un momento in cui dilagano le dislocazioni industriali verso i paesi europei dell’est dove i salari sono talvolta un decimo di quelli dell’Europa occidentale e dove spesso non c’è nessuna protezione sindacale.

Con la nuova costituzione avanza il grado di democrazia interna dell’Unione. Ne esce rafforzato soprattutto il parlamento europeo. Ma rimangono intatti alcuni motivi di debolezza decisionale. La nuova costituzione mentre stringe il principio della decisione a maggioranza nel campo della giustizia e degli affari interni (materie in cui in genere nelle federazioni gli stati hanno ampia autonomia) mantiene invece questo vincolo paralizzante nell’ambito della politica estera, laddove invece il governo centrale ha dovunque poteri assoluti.

Il problema non è tanto il presente quanto il futuro. Non è sicuro al cento per cento che la costituzione sarà ratificata da tutti gli stati compresi quelli maggiori. Non solo in Gran Bretagna, dove l’euroscetticismo è sempre strisciante, ma anche in Francia il risultato non è garantito. Non si sa, nel caso della bocciatura della carta da parte di un paese, quali saranno le conseguenze con una costituzione che ha ancora la forma di un trattato e che, come tale, non può essere rivisto se non all’unanimità. E le diversità usciranno fuori anche nel merito, quando si discuterà di adesione della Turchia, del futuro dell’Iraq, del rapporto con l’Africa della fame e dell’emigrazione, del conflitto con il Terzo Mondo in merito alla politica agricola comune e via dicendo; a meno che nel frattempo, dopo aver condiviso le regole, non si cominci a condividere anche idee e progetti.

Una costituzione per l’Europa