Opinioni & Commenti

Avvento, sillabare il silenzio

di Massimo Lippi*Fare silenzioso il giorno come la notte stellata, ripartire dalla meditazione profonda di ogni parola. Sillabare il silenzio è più urgente di ogni altra falsa notizia o vera falsità che l’arrembaggio globale imprime ai nostri poveri corpi ustionati dal lampo freddo della guerra e della televisione.

«Avvento di chi? Qualcuno aspetta davvero Qualcuno?», mi diceva ad Amsterdam il figlio dei fiori ormai patetico vecchio del nuovo con le sue proposte invecchiate e la pensione di Stato. Oh, come contestando per mestiere si è ugualmente preda del conformismo e dell’integrazione, ma lentissima e talvolta inesorabile se non si è passati davvero attraverso il Tempo della grande Attesa di Colui che viene a liberarci dal più oscuro carcere.

«Forse voi cristiani – mi diceva a Londra un disperato della City – aspettate Qualcuno in tutto uguale ai vostri nemici d’un tempo, voi che siete decaduti ormai nella ristretta cerchia di operatori sociali e non più alti Profeti dell’Amore. Corpi scelti di una funzione dello Stato, o soccorrevoli infermieri nella matassa intrigata dei socialmente utili».

«Avvento di chi – mi diceva un duro, fasciato di cuoio nero da motociclista, della banda di Berlino – se non la smettete di consumare a caso, di tracannare giornate scialbe e mandar dentro la pancia del mondo bitume e bestemmie, non ce la farete mai». Impietoso ragionare. «E questo veleno nei campi – mi disse l’ecologista intransigente – e nell’aria il cancro e la disperazione nei ragazzi asfissiati d’ogni bene, d’ogni diavoleria, così voi cristiani sarete sempre più soli e incredibili, moralisti e non più gioiosi testimoni dell’Amore».

Altre voci mi dicevano così, trasalite voci da un grumo d’esperienze dolorose, da un dialogo aspro che ferisce solo a ripensarci. Eppure qui riporto ciò che ho sentito sparso pel mondo, dal cuore di chi non attende più Cristo e nessuno, oramai. «Secondo te io dovrei smettere di bucarmi – mi disse un allampanato ragazzo di Parigi, figlio di emigrati, sulla spalletta del Ponte Nòvo – per aspettare il vostro Salvatore e il giorno dopo mettermi in fila per adorare il potere e il denaro? Sono storie di un abisso lontano dal mio, ipocrisie convenute».

Dunque per questi fratelli aspettare Qualcuno da soli, stanchi, ammalati, distrutti, rifiutati, è insostenibile pena: incredibile festa che rallegra la casa degli altri, dei nuovi ricchi e dei miserandi dello Spirito. Allora l’Avvento si trasforma di nuovo in disagio perché culmina in questa umiliante fuga dalla realtà e sottopone gli esclusi dalla festa a consumare la festa con i rimasugli di un rito pagano. A poco a poco si vorrebbe trasformare anche il povero in un astioso del successo altrui, tacitando la voce della Sacra Scrittura: «Cambierò le vostre feste in lutti». Sottinteso: «Se non sarete caritatevoli tra voi e non metterete il Signore al primo posto».

Avvento: dolciumi, lampadine, vacanze, altre chicche da appendere all’albero dei nostri privilegi, altre statuine da comporre sul fraticello di muschio e farina. Stordimento, abbuffata, quattrini in cenere, in cenere il tempo sacro; in cenere le memorie più sincere e fondamentali di un popolo che ha rovesciato il mondo. L’Avvento del Signore è purificazione da ogni altro sapere, da ogni altra passione che non sia la Verità. L’Avvento è promessa che si compie. Il Signore si è fatto piccino nella grotta del nostro cuore, come un vivace pettirosso che freme tutto nel suo nido grande più del mondo. Sarebbe una felicità indicibile traboccare la gioia dell’Avvento nella vita personale del primo che si incontra per strada, e dirgli è nato il nostro Salvatore. Oppure dire a qualcuno imbambolato, occhi fissi tra la merce: «È nato Gesù, l’Emanuele, il Dio con noi! Smettete la cerca dei nuovissimi surrogati, le sottomarche clamorose, l’imbroglio di una carità appaltata, perché affannarsi in altre penose felicità?».

L’Avvento principia dal suono che piglia il bosco quando ingiallisce la foglia. Si trasmette alla chiarità de’ monti. L’Avvento trapoggia dal mare su contrade e paesi, risveglia il pigro autunno su coltivi di terre già scottate dal primo gelo. Terre appomate, capaci di accogliere la sementa, quel pane non mangiato, perché frutti altro pane e nòva sementa e sangue e carità e beata stagione, Eterna. L’Avvento è la silente orma dei Magi che abbeverano il Santo desiderio alle stelle e da una, la più bella, la più fulgida e solitaria stella d’Oriente sono attratti e spaesati, cavati dunque dal loro paese, come si cavano le patate a lungo sommerse di terra, invisibile cibo e speranza per chissà quanti poveri in cammino con loro verso Betlemme. L’Avvento del Regno di Dio è l’uomo che prega e che spera contro ogni speranza.* poeta e scultore