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Ucraina, una crisi pericolosa per tutti

di Romanello CantiniCome tutti sanno Giuseppe Mazzini è stato quasi per antonomasia il più grande tifoso delle indipendenze nazionali. Eppure per il protagonista del nostro risorgimento gli stati nazionali previsti in Europa non dovevano essere più di dodici. Questo numero di stati fu più che raddoppiato già dopo la prima guerra mondiale quando si cercò di applicare il principio della autodeterminazione dei popoli per accorgersi subito dopo che dentro ogni nazione liberata ne rimanevano sempre altre da liberare. È stato infatti calcolato che se si applicasse il principio di indipendenza ad ogni gruppo sociale che sia omogeneo dal punto di vista etnico, religioso, linguistico e culturale in Europa giungeremmo ad avere un pulviscolo di quasi duecento stati e staterelli.

Per chi oggi tanto si preoccupa della società multietnica come se fosse una invenzione perversa degli ultimi dieci anni bisognerebbe ricordare quindi che anche gli stati cosiddetti nazionali sono stati in realtà multietnici da sempre in misura più o meno ampia se non volevano disintegrarsi all’infinito. La tendenza alla moltiplicazione dell’autodeterminazione è riapparsa potentemente negli ultimi quindici anni nei paesi ex-comunisti con frantumazioni già avvenute (ex-Unione Sovietica, ex-Jugoslavia, ex-Cecoslovacchia) o drammaticamente reclamate (Cecenia).

Ed ora nell’elenco dei paesi a rischio di spaccatura entra improvvisamente anche l’Ucraina, il paese più grande dell’ex-Urss dopo la Russia, una entità di sessanta milioni di abitanti di grande importanza politica e strategica.Nel conflitto che è esploso fra i seguaci del partito filoccidentale di Yushenko e il partito filorusso di Yanukovic non c’è solo la rabbia dei primi che accusano i secondi di brogli elettorali rilevati fra l’altro da osservatori locali e stranieri.

Il problema ancora più grave è che due partiti fanno riferimento più che a due politiche a due realtà geografiche. Lo schieramento di Yushenko è ampiamente maggioritario fra la popolazione dell’ovest del paese che parla ucraino e che si riconosce nel cattolicesimo uniate e nell’ortodossia nazionale. Lo schieramento di Yunukovic fa il pieno di voti nelle regioni dell’est dove si parla russo e ci si identifica con la chiesa ortodossa del patriarcato di Mosca. Questa parte del paese che si vanta fra l’altro di essere industriale contro la parte occidentale rimasta agricola ora minaccia la seccessione. Per stare insieme non sembra bastare più, al di là delle differenze, la comune appartenenza ad una razza slava e a una religione cristiana.

E la crisi può non solo portare ad un bagno di sangue in un paese che già almeno per la metà si sente europeo. Può acutizzare ancora di più quella aspra polemica della chiesa ortodossa contro la presunta invasione del cattolicesimo che ha fra l’altro impedito ogni ipotesi di viaggio del papa in Russia. Può riaprire una nuova guerra fredda fra un mondo occidentale che insiste sui brogli elettorali delle ultime elezioni e la Russia di Putin che ha già riconosciuto la vittoria sporca di Yanukovic per proteggere i suoi interessi in Ucraina che vanno dalla flotta nel Mar Nero, agli oleodotti che attraversano il paese, agli idrocarburi sfruttati dalle imprese russe.

Per cercare di uscire da una crisi estremamente pericolosa per tutti non basta solo insegnare alle classi dirigenti degli ex-paesi comunisti che per essere democratici non basta fare elezioni, ma bisogna anche non imbrogliarle per continuare a vincerle a tutti i costi. Bisogna anche e soprattutto lavorare in direzione di una mediazione e di un riconoscimento da parte di tutti delle regole di convivenza di una casa comune per non tornare ad assistere al solito copione già visto nel novembre scorso in Georgia e ripetuto quest’anno in Ucraina per cui al potere arbitrario del palazzo si può opporre solo il contropotere più o meno legittimo della piazza.

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