Opinioni & Commenti

Pace, il peso del debito

di Riccardo MoroIl Papa torna a parlare di debito, di Africa e di lotta alla povertà. Lo fa nel messaggio per la 38ª Giornata mondiale della pace, nel quale ancora una volta indica prospettive preziose per i credenti e i non credenti che hanno a cuore la costruzione della pace, la promozione della vita e la salvaguardia del pianeta che, più o meno saggiamente, abitiamo. Tra le molte forme di comunicazione che il Santo Padre utilizza per offrire indicazioni destinate alla riflessione, l’insieme dei messaggi per la Giornata della pace sono forse una delle più efficaci. Con una lunghezza facilmente fruibile rispetto a quella di un enciclica, che richiede un accostamento più approfondito, in questi messaggi il Papa articola il ragionamento, circostanziandone i contenuti, senza ridurli a slogan e offrendo prospettive concrete all’impegno. Anche quello di quest’anno sviluppa ciò che il messaggio dell’anno scorso chiamava un “sillabario” per la pace. In realtà si tratta di molto più di un sillabario, declinato però con grande semplicità e con un linguaggio accessibile a tutti.

Nei messaggi degli anni scorsi era stato sviluppato con forza il legame tra pace, giustizia e perdono, arrivando a quello del 2002 intitolato “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Quindi, dopo quello che ricordava i quattro pilastri della pace nel quarantesimo anniversario della Pacem in Terris – la verità, la giustizia, l’amore, la libertà – il messaggio dell’anno scorso proponeva con forza la questione della riforma del diritto internazionale, cioè di regole che permettano di orientare la vita della comunità internazionale alla pace, e quella dell’educazione alla pace.

Quest’anno il Papa sviluppa quel percorso proponendo la categoria della “cittadinanza mondiale”, una titolarità di diritti e di doveri che riguarda tutte le donne e gli uomini del mondo, a cui si accede per il solo fatto di essere concepiti. A quella condizione si lega la prospettiva della ricerca del bene comune e si declinano i principi che permettono di costruirlo, dando contenuti alle regole che la comunità internazionale dovrebbe darsi, a partire dalla universale destinazione dei beni e dalla priorità alla lotta alla povertà. È in quella prospettiva che il Papa ricorda l’urgenza della situazione africana e sottolinea come l’impegno della comunità internazionale nella lotta alla povertà non sia sufficiente. Richiama gli Obiettivi del Millennio, quell’impegno a dimezzare la povertà entro il 2015 che le Nazioni che fanno parte dell’Onu si sono date, ma che avanza troppo lentamente. Sottolinea come il finanziamento dello sviluppo rimanga centrale e inadeguato l’aiuto pubblico allo sviluppo, tuttora molto distante dallo 0,7 del Pil tante volte promesso. Ma non basta, occorrono regole per il commercio che siano eque ed impediscano barriere e monopoli, mettendo al centro delle relazioni economiche i bisogni fondamentali della persona umana e occorre, in tempi di globalizzazione, consentire, attraverso regole adeguate, la universale fruizione dei beni pubblici e di quelli nuovi che vengono dalla conoscenza scientifica e dal progresso tecnologico.

È in questo quadro che il Papa ripropone con enfasi l’impegno sul debito. Per una trentina di Paesi una riduzione del debito è stata realizzata, cercando di legare le cancellazioni al finanziamento della lotta alla povertà, ma in termini complessivi l’impegno è francamente inadeguato. Prima del Giubileo il debito dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo era infatti intorno ai 2.300 miliardi di dollari, oggi ha superato i 2.400 . L’Africa sub sahariana aveva un debito di 228 miliardi, ora continua a subire un peso per 219, una riduzione minima.

Il Papa chiede “una nuova fantasia della carità” e “una nuova cultura politica”. Sollecita, argomenta, invita alla azione educativa e chiama in causa chi ha la responsabilità della politica e tutte le donne e gli uomini di buona volontà. Ribadisce che senza camminare verso il bene comune è negata la possibilità della pace, e addirittura, con un occhio ancora all’Africa, che “il bene dei popoli africani rappresenta una condizione indispensabile per il raggiungimento del bene comune universale”.

Infine, ricorda che il “mistero dell’iniquità” di cui parla San Paolo è nell’esperienza di ognuno di noi, “il male passa attraverso la libertà umana”: “Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e donne che liberamente lo scelgono”. Ma a queste scelte rispondere è possibile, si può vincere il male con il bene: è una lotta che non si vince con la violenza, che “è menzogna”, “ma si combatte validamente soltanto con le armi dell’amore”, nella sequela del Cristo, armati della Sua Parola. Un mandato inequivocabile.

Il Messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace 2005