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Elezioni in Iraq, il coraggio di un popolo

L’alta affluenza alle urne che si è verificata nelle prime elezioni della storia dell’Iraq ha smentito i pessimisti ed ha dimostrato il consenso da parte di una grande maggioranza del Paese intorno ad un meccanismo democratico, anche se molto imperfetto. Anzi il fatto che quasi due terzi degli elettori siano usciti di casa, si siano messi in file e abbiano votato accanto agli attentati terroristici che nel frattempo facevano decine di morti, da un significato ancora più determinato a questa volontà di partecipazione e aggiunge addirittura un pizzico di eroismo ad un voto voluto nonostante il rischio e la paura.

L’assemblea costituente e il governo che usciranno da questo voto hanno ora una legittimità ben maggiore di quella del precedente governo provvisorio. In teoria le nuove istituzioni irachene potrebbero esercitare fin da questo momento una piena sovranità, ma paradossalmente l’incapacità di garantire da sole un minimo di sicurezza costringerà a prolungare quella permanenza delle truppe straniere la cui partenza è stata una delle giustificazioni di questa prova elettorale e uno degli incentivi per spingere la gente e recarsi alle urne.

I risultati finora sommari ci dicono che l’affluenza elettorale è stata molto alta nel Sud sciita e nel Nord curdo. Al contrario, secondo una già facile previsione, la partecipazione è stata, se non nulla, molto ridotta nelle zone del centro dove si raccolgono le roccaforti della popolazione sunnita. Lo “sciopero elettorale” dei vecchi dominatori dell’Iraq c’è stato, anche se non è stato totale.L’Iraq è in sostanza un “puzzle” che si regge sull’incastro del Paese sciita, del Paese sunnita e del Paese curdo. Se uno di questi Paesi nel Paese resta fuori dal patto costituzionale cui si dovrà dare corpo nei prossimi mesi, il rischio è la disintegrazione del Paese o addirittura una guerra civile in cui la popolazione sunnita potrebbe finire per saldarsi compatta dietro alla guerriglia e al terrorismo.Il primo compito dei vincitori di queste elezioni sarà quindi quello di riaprire il dialogo con il mondo sunnita per coinvolgerlo nella stesura di una costituzione per cui non avrà che pochissimi rappresentanti in sede di assemblea costituente.

Nonostante il successo della prima prova di partecipazione elettorale, questa balbettante democrazia irachena ha molto poco dei caratteri della democrazia, così come noi la conosciamo. L’espressione della volontà popolare si manifesta qui, come del resto in gran parte del terzo mondo, non in forma individualistica, ma comunitaria. Come in una domanda a tre risposte chiuse si è scelto non il proprio candidato, ma il proprio gruppo etnico e religioso, il voto non è stato l’assenso ad un programma del resto inesistente o ad un individuo conosciuto anche per l’impossibilità di farsi conoscere in un clima di terrore, ma una semplice rivendicazione identitaria ed una delega fideistica alla propria comunità.

Il semplice riferimento ad un richiamo religioso e nazionalistico ha fatto sì che dentro le liste si nascondono di fatto personalità e scelte politiche molto diverse. Per questo, la scelta più difficile viene ora nel momento in cui si dovrà costruire, nella definizione concreta dei diritti per tutti e degli strumenti per dare corpo e garanzia ad una democrazia finora sospesa nell’aria, il futuro reale dell’Iraq.