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Giovanni Paolo II beato? Nessun altro più di lui

di SILVANO SPACCATROSI Un dono al popolo di Dio, invocato e sperato fin dai giorni tristi dell’addio sul sagrato di San Pietro, eppure sorprendente per la sua rapidità: la decisione (resa nota il 13 maggio) di papa Ratzinger di dar inizio, senza aspettare i cinque anni canonici, al processo di beatificazione di Giovanni Paolo II (il 18 maggio avrebbe compito 85 anni), rientra in uno di quei gesti che segnano un Pontificato. Per l’eccezionalità dell’evento: non era mai avvenuto per nessun altro cristiano nella tradizione della Chiesa, a parte quella dei primi secoli, soltanto a 42 giorni dalla sua scomparsa. Che poi il servo di Dio sia stato un Pontefice, che a decidere sia il successore e già – lui vivente – uno dei principali collaboratori appare ancor più straordinario.

Quanto durerà il processo non è ancora possibile prevedere: le regole e la prudenza della Chiesa, nei processi di beatificazione e di canonizzazione, sono accorte ed esigenti. Quel grido – “santo subito” – che era echeggiato durante i funerali in Piazza San Pietro forse dovrà moderare la sua impazienza: la procedura canonica comporta l’esame degli scritti del servo di Dio, e in questo caso si tratta di decine e decine di migliaia di pagine; occorre ascoltare le testimonianze di chi gli ha vissuto accanto e ha carpito forse quella luce che irradia da chi si apre al soffio dello Spirito; infine c’è la ricognizione attenta di un miracolo, che si sia verificato dopo la sua morte.

Tempi “tecnici”, diremmo, che mal si conciliano con la fretta del popolo cristiano per lo scomparso Pontefice. Lo stesso Benedetto XVI sarà chiamato a dare la sua testimonianza e occorrerà trovare tempi e spazi all’interno di giornate dense come le sue. Ma nessun altro, più di lui, è attendibile e necessario. Ed è verosimile che sarà proprio lui, papa Ratzinger, tra qualche anno a porre il suo predecessore sugli altari. L’ansia nostra è anche la sua, e non avrebbe compiuto questa scelta se non l’avesse condivisa dal pr ofondo del cuore.

Egli per primo, accogliendo la richiesta che il cardinale Camillo Ruini gli aveva inoltrato ad appena 4 giorni dall’inizio solenne del Pontificato, aveva riconosciuto la fondatezza della “fama di santità”. Così come aveva tenuto conto di una raccomandazione del Collegio cardinalizio.Eppoi c’è la data, il 13 maggio, scelta per dare l’annuncio, che suggerisce altra fiducia. È il giorno dell’attentato a cui lo stesso Giovanni Paolo II aveva ammesso di essere scampato per intercessione superiore: una mano aveva sparato, un’altra aveva deviato, aveva osservato, e gli stessi medici si erano domandati come avesse potuto scampare il Pontefice ad una morte sicura.

Osservanza delle procedure, eppure quello che inizia è un processo canonico che non somiglia a nessun altro. Rispetto a tutti gli altri, anche a quelli di grandi Pontefici, c’è in questo caso una grande diversità: è il popolo cristiano che ha bisogno di questo nuovo santo. L’elevazione agli altari infatti è necessaria non per onorare un grande uomo di Dio, come è stato papa Wojtyla, o almeno non solo per questo. Possiamo appassionarci alle vicende di Pio IX, tributargli gli onori che meritava e che gli furono negati nel suo lungo esilio dentro le Mura Leonine, e sentirci appagati perché nulla si perde al cospetto di Dio. Eppure sono vicende lontane, su cui è calata la polvere del tempo.

Nel caso di Giovanni Paolo II è diverso: il mondo improvvisamente si è sentito orfano della sua figura così familiare in ogni parte del mondo, del suo conforto, del suo magistero rassicurante. Quei milioni di fedeli ma anche di altre religioni e laici che sono sfilati davanti alla sua bara, dopo ore di fila, oltre il dolore volevano testimoniare una presenza visibile, un legame con quello che egli era stato, quasi una supplica al Cielo perché tutto non finisse e si potesse continuare a coltivare la speranza.

Con lui santo, il suo amore per l’umanità sopravvive anzi si moltiplica nell’in timo di chiunque avrà bisogno, esaltato da quella straordinaria grazia che è la Comunione dei santi. È il suo magistero che rimane, seme che continuerà a dar frutti con l’aiuto di Dio, rincuorando gli sfiduciati. Benedetto XVI ha colto questo bisogno e lo ha fatto suo, compiendo all’alba di un Pontificato che si annuncia anch’esso straordinario, un gesto che ne anticipa il cammino. Aver preso questa decisione repentina sta a significare che agirà in continuità con il predecessore di cui aveva ispirato spesso le scelte, cogliendone i segni profetici e magari, come già s’intuisce, chiarendone ancor più il fondamento teologico.

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