Opinioni & Commenti
Referendum, dal Magistero solo luce per le coscienze
Che tipo di atteggiamento deve avere il credente di fronte a questo tipo di pronunciamenti della Chiesa? Fanno parte del magistero ecclesiale? O sono semplici indicazioni, non «vincolanti»?
«Non vogliamo forzare le coscienze ma soltanto illuminarle; non siamo contro nessuno, lavoriamo invece per qualcuno, affermava il cardinale Camillo Ruini, in vista dei referendum, giovedì sera 9 giugno, in San Giovanni in Laterano. Appare evidente il carattere positivo dell’intervento, destinato ad offrire ragioni alla fede dei credenti, più che a suggerire astuzie tattiche con finalità politica. Sorprende, infatti, che alle indicazioni provenienti da esponenti ecclesiastici si debba, spesso e da più parti, attribuire il marchio dell’invadenza nelle coscienze e d’ingerenza nella laicità dello Stato, come se tutti avessero il diritto di parola meno che la Chiesa. Da un lato, si apprezza la chiarezza coraggiosa degli interventi papali su qualche guerra, dall’altro si biasima la riaffermazione di ciò che sempre si è custodito come patrimonio della fede, in questo caso la sacralità della vita umana, dal suo sorgere al suo naturale compimento. Alla luce di queste osservazioni, ognuno è chiamato a regolarsi secondo scienza e coscienza. Il che comporta il dovere di approfondire i contenuti scientifici in questione e di formarsi un giudizio personale, illuminato dalla più ampia visione cristiana del matrimonio e della vita nascente. Per un credente ciò che vincola è la prossimità con il nucleo della fede da parte dell’oggetto in questione in questo caso l’assoluta indisponibilità della vita umana, dono di Dio e la dichiarata impegnatività, da parte della gerarchia, in ordine alla comunione ecclesiale – che non sembra essersi così espressa in tale caso».
Anche in altre occasioni, ad esempio sulla guerra preventiva, la Chiesa ha espresso posizioni precise, che sono state recepite in modi diversi. Non c’è il rischio che ognuno prenda dalla Chiesa ciò che gli fa comodo, e contesti il resto?
«Proprio l’esempio citato conferma la libertà della Chiesa rispetto alle strumentalizzazioni politiche cui sembrerebbe esporsi. Più che il rischio che ognuno prenda dalla Chiesa ciò che gli fa comodo cosa di cui giustamente non ha da preoccuparsi , dovremmo ammettere che la Chiesa non teme di compiacere né di scomodare, ma soltanto di testimoniare ciò in cui crede, con franchezza e coraggio, al di là degli improbabili guadagni di cui è sospettata. Per questo, a fronte dell’esito referendario, un normale fedele cristiano non ritiene di aver vinto alcunché».
L’impressione è che oggi anche tra coloro che si definiscono cattolici ci sia scarso rispetto per molte norme della morale cristiana. Quali sono oggi i confini dell’appartenenza alla Chiesa? Ha ragione chi suggerisce di «allargare le maglie» della morale cattolica, per evitare che la gente fugga dalla Chiesa?
«A molti è nota la distinzione tra credere e non appartenere (beliving without belonging), che nella sua più radicale evoluzione si esplicita nel dire di credere in Dio eppure vivere come se Dio non ci fosse. Tutte le analisi socio-religiose attestano questo divario. Dinanzi a questa situazione sembrano prospettarsi due soluzioni. O la ricerca di un ampio consenso sui valori (religione civile), nel segno dell’intesa tra cristiani e cristianisti (sì ai valori cristiani, no alla fede in Gesù Cristo Figlio di Dio). Oppure l’annuncio di un vangelo chiaro e scomodante, oltre che scomodo per chi lo proclama, in quanto destinato a scarso consenso. Nella capacità di mediare all’interno di questa polarità, forse, si giocherà il futuro del cattolicesimo italiano».
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