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Quando l’educazione passa da uno sguardo e da qualche «no»

di Franco VaccariChi entra nella London School of Econimics (LSE) percepisce immediatamente di varcare la soglia del santuario mondiale degli studi di economia e diritto: gli balzano davanti gli esiti meglio riusciti di quel luogo, una fila di Nobel da brivido, da Karl Popper a Bernard Show, da Von Hayek a Sen o Coase. Lo studente quasi imberbe può essere attratto o atterrito da questo rosario di personaggi… fatto sta che chi entra in tale luogo ne conosce l’uscita, sa che avrà ottimi maestri e soprattutto ha chiaro che nessuno farà sconti.

Chi, invece come me, entra a vedere i risultati degli scrutini di un liceo può imbattersi in questa scena. Negli elenchi nominativi delle classi, i «quadri» hanno tante strisciate bianche, evidenziate dal bianchetto che ha maldestramente cancellato – rendendoli ancor più evidenti – i nomi e le votazioni dei non ammessi alle classi successive. «È una vecchia circolare ministeriale per non umiliare i bocciati – commenta il bidello – ma i nomi ci dovevano essere; un genitore però ha protestato e il preside li ha fatto cancellare tutti». «Non solo – aggiunge una professoressa, accostandosi – ci ha quasi rimproverati perché, col numero dei fermati, rischiamo di perdere tre classi».

Quelle righe sbiancate sono alunni che hanno trovato un’altra uscita che, però, non è dato sapere. Scomparsi. Candidamente scomparsi. Un’operazione tanto pulita da far credere di aver tolto il dolore della sconfitta, di un insuccesso in qualche modo rituale e condiviso che ha traversato intere generazioni facendole crescere, perché dolore e crescita sono inseparabili.

Come si fa a educare tra angoscia per eventuali suicidi, necessità di clienti per non perdere il posto, ricatto dei genitori e dei TAR? Si è rotta un’alleanza, un patto sociale in cui famiglia, scuola e coloro che a vario titolo educano, concordano su alcune questioni di fondo e custodiscono il lavoro educativo dagli attacchi di massificazione, commercializzazione e ipocrisia. Ovunque si voglia guardare nel panorama educativo, per trarne speranza, troveremo immancabilmente tre tensioni: indicazione di uno zenith, sentimento di alleanza e niente sconti. A cinquant’anni dall’inizio dell’«Opera Villaggi per la gioventù» lo ricordiamo bene: l’atmosfera educativa che esplicita in ogni attimo il senso, l’amicizia vera, la forza della regola.

Come Arpioni, tanti altri, più o meno noti, hanno fatto e fanno prodigi nelle aule di scuola o nelle tende dei campeggi. Gli scouts lottano con la pretesa dei genitori di reperire al cellulare, in qualunque tana di bosco, il figlio che si nasconde nei giochi agli amici, non riuscendoci nella vita, alla famiglia.

Nella suggestiva teoria di grandi personaggi della London School o nelle essenziali casette di legno a Castiglion della Pescaia e in vetta al Cimone i giovani che abitano questi luoghi attingono a un significato, incontrano maestri veri e non ricevono sconti.

A Barbiana restaureranno la povera canonica, senza appesantimento commerciale o retorica del pedagogese. Nel niente di quel luogo si è afferrati dalla forza di chi ha educato indicando un senso, lasciandosi coinvolgere e non facendo sconti.

L’alleanza si stabilisce quando un padre guarda fisso negli occhi il figlio e né cellulare né televisione né orologio né alcun insuccesso lo distolgono. Quando un figlio (o un alunno, un giovane) si sente guardato così, non c’è gameboy né motorino né altro che tenga. In un’alleanza praticata senza troppe parole il «no» più secco e doloroso può essere accolto e l’insuccesso diviene l’insostituibile via della maturità.

Se poi i «no» non fossero subito accettati, saranno benedetti poi, quando il viaggio della vita riconduce in paesaggi noti e mai tanto apprezzati come quando il tempo è passato.

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