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Per combattere il terrorismo servono alleati non nemici

di Romanello CantiniLe decine di vittime degli attentati di Londra erano colpevoli solo di aver preso quella metro o quell’autobus in quel giorno e in quell’ora. Quello che spaventa nel terrorismo di oggi è proprio questa nostra vulnerabilità e questa nostra impotenza. Le vittime non hanno colpa e gli assassini, se kamikaze, si sono già giustiziati di propria mano nel momento in cui uccidevano. Nessuno può sentirsi al riparo e ognuno sa di essere infilato nel sacco della lotteria della morte seppure per grandi numeri. Non si faceva così anche nelle decimazioni in guerra?

Ventisette anni fa, alla vigilia del sequestro Moro, il grande teorico della comunicazione Marshall Mc Luhan disse in una intervista: «Senza mass media non ci sarebbe terrorismo». Se un attentato non avesse eco mancherebbe del suo scopo essenziale di seminare panico ed orrore. E non a caso il terrorismo contemporaneo coltiva soprattutto il voyeurismo del sangue fresco mettendo in videocassette perfino l’atrocità della strage, dello sgozzamento e della decapitazione. Ora i londinesi hanno reagito al massacro con quel saggio pudore di descrizioni e di immagini che è già una prima risposta di compostezza e di intelligenza al terrore. Certo, non si fa fatica a immaginare le vetture sbranate come scatolette di sgombro e la macelleria orribile di carne umana a cui erano ridotte. E tuttavia almeno questa volta gli attentati sono stati decapitati di gran parte del loro effetto mediatico.

Ma al di là di questa reazione non è che si abbiano molte certezze sulle armi di difesa da approntare contro questa minaccia che ormai riguarda tutta l’Europa. Da un lato si invocano stati di guerra, reimbarco di emigrati, pugno duro sui sospetti con idee che sono solo gesticolazioni e esibizioni di muscoli per ottenere qualche applauso senza in pratica nessun effetto. Oltretutto si dimentica che la partita sarebbe persa completamente se i milioni di musulmani che vivono in Europa si sentissero come nemici. Al contrario contro il terrorismo che non chiede altro che di trovare acqua in cui nuotare, bisogna oggi soffocarlo non creando divisioni fra nazioni e nazioni, fra religioni e religioni, ma fra chi ha umanità e chi non la ha, fra chi condanna gli attentati e chi li esalta.

E tuttavia c’è anche il rischio di una rassegnazione di fatto all’impotenza totale, una resa all’idea che bisogna far posto alla presenza del terrorismo nella ordinarietà del nostro quotidiano come di fatto ci abituiamo ai morti per incidenti stradali ogni weekend, o altrove al rischio sismico o alla compagnia di un vulcano in attività.Certamente il terrorismo non avrà vita breve come lunga è la persistenza dei problemi sociali, politici, culturali che riforniscono di carburante questa macchina infernale e rispetto ai quali anche il G8 contemporaneo agli attentanti non è stato certo proprio all’altezza.

Ma nel frattempo non possiamo dimenticare che nel nostro paese gli anni di piombo e più tardi l’emergenza mafiosa sono stati affrontati con provvedimenti mirati che hanno messo in moto, anche a costo di qualche ingiustizia, il fenomeno determinante del pentitismo e della collaborazione con la giustizia. A ciò si dovrà aggiungere severità con chi fiancheggia o assolve il terrorismo. Proprio in questo periodo in cui più evidente appare anche la dissociazione e la condanna di tante parti del mondo islamico è determinante andare oltre aumentando al massimo gli alleati in questa sfida e riducendo al minimo i nemici.