Opinioni & Commenti

Contro il terrorismo

di Romanello Cantini Se si contano gli attentati compiuti nelle varie parti del mondo dalla metà del 2003 all’inizio di questa estate si mettono in fila una ventina di stragi. Finora l’appuntamento con la morte collettiva aveva avuto grosso modo una cadenza mensile. Ma dopo gli ultimi attentati di Londra, uno riuscito e uno fallito, e il massacro di Sharm-el-Sheikh ormai si può dire che si vuole uccidere una volta alla settimana. La catena di montaggio della morte accelera i suoi tempo in forma poderosa.

Con gli attentati di Londra si è colpito per la seconda volta un Paese europeo dopo la Spagna. Ma ancora più impressionante è l’identikit dei kamikaze britannici. Si tratta di ragazzi nati in Gran Bretagna da famiglie residenti nel Regno Unito da più di mezzo secolo. Il terrorista islamico non è più un articolo che arriva dall’aldilà del Mediterraneo, ma è ormai un prodotto “made in Europe”. Questo terrorista della porta accanto, mimetizzato con i blue jeans, la barba rasata e le normalità quotidiane, ignorato perfino dai suoi genitori, è il segno che l’integrazione non basta a collocare dentro i valori di una comunità nemmeno chi da sempre c’è vissuto. L’Inghilterra è stata aperta nel riconoscere i diritti politici della comunità musulmana e generosa nel concedere il diritto di asilo anche a chi in patria era stato condannato per estremismo. Questa accoglienza non è bastata a creare sempre lealtà verso la terra e la cultura di adozione. Nel mondo in cui viviamo la televisione prima e Internet poi sono diventati più influenti del quartiere, della scuola e della nazione.

Anche lontani, con questi mezzi si può riallacciare un cordone ombelicale con la più intollerante cultura di origine. Il villaggio globale ha assorbito il villaggio reale. In concreto questa realtà ci avverte che la lotta al terrorismo deve risalire più a monte di quanto finora si pensasse. C’è un indottrinamento totalizzante e ossessionante, non diverso probabilmente dalle tecniche delle sette, che lavora ormai costantemente su un certo materiale umano per ricavare bombe con le gambe. Che questo avvenga anche nei pressi di qualche moschea o di qualche sedicente gruppo culturale va ormai messo in conto. Ed è evidente che occorre aprire un discorso con le autorità che nominano i capi religiosi delle varie comunità musulmane non solo per ottenere condanne del terrorismo come ha fatto Blair, ma anche per domandarsi che tipo di formazione teologica ed etica viene data ai maestri prima ancora che agli alunni. Al di fuori di questo ripensamento culturale non resta altro che sanzionare ogni incitamento alla violenza e ogni apologia di reato.

L’attentato di Sharm colpisce innanzitutto per l’alto numero delle vittime. Nel centro turistico sul mar Rosso come in precedenti attentati a Riyad, a Casablanca, a Istanbul, si è voluto colpire, come sinistra minaccia di pulizia etnica, il luogo dove convivono arabi e occidentali oltre che dare un brutto colpo a quel turismo, che con i suoi sei miliardi di dollari che porta ogni anno in Egitto, rappresenta una delle poche risorse di un Paese sempre più povero e sempre più popolato.

L’Egitto, come il più grande Paese arabo e come il grande mediatore nel conflitto arabo-palestinese, è da sempre nell’occhio del ci clone dell’estremismo. Il terrorismo fondamentalista ha in fondo la sua prima clamorosa manifestazione con l’assassinio di Sadat ventiquattro anni fa, a cui doveva seguire alcuni anni dopo, il tentativo – fallito per un soffio – di assassinare Mubarak a Khartoum. Più di recente sono seguite le stragi di Luxor nel 1997 e quella di Taba nell’estate scorsa.

Ma gli attentati in Egitto ci ricordano che la guerra dichiarata dal terrorismo vuole essere, prima che una guerra contro i cosiddetti “crociati e sionisti”, una guerra civile contro i musulmani stessi. Come in Egitto, il terrorismo ha colpito in Arabia Saudita, in Kenya, nello Yemen, in Tunisia, in Pakistan, in Indonesia, in Marocco, in Turchia. Se il terrorismo proviene in gran parte dal mondo musulmano, è anche lì che colpisce per primo e miete il maggior numero di vittime. Il che ci suggerisce con la stessa evidenza dei fatti di cercare anche in questo mondo il maggior numero di alleati nella lotta contro il terrore anziché dipingerlo tutto con la matita nera del campo nemico.

Gli attentati terroristici