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Frère Roger, dalla sua testimonianza una comunità aperta a tutti

di Mario AffusoPastore della Chiesa Apostolica italiana«Benchè morto, parla ancora» (Eb 11:4d). Il folle gesto di una demente invasata, nel vivo di una caratteristica celebrazione della comunità di Taizé, ne uccide il fondatore strappando alla nostra storia cristiana una delle più eminenti figure di testimoni; uno di coloro che a pieno diritto potrebbero essere annoverati nello scaglione più moderno di un ipotetico aggiornamento della lista di Ebrei 11. Frère Roger Schutz-Marsauche non è più con noi, ma a noi ha lasciato una eredità di indiscutibile valore ecumenico metaconfessionale e soprattutto metaistituzionale pur nel rispetto delle varie confessioni e relative istituzioni.Era per tutti «Frère Roger» (il «fratello Roger») il fondatore preterintenzionale di una comunità che Geneviève Jacques, segretario esecutivo del Consiglio Mondiale delle Chiese, definisce «un luogo unico di risveglio spirituale e di apertura agli altri a mezzo dell’ascolto della Parola di Dio». Così, infatti, scrive esprimendo il cordoglio del Consiglio Mondiale e suo personale alla Comunità di Taizé.È doveroso sottolineare che la testimonianza di Frère Roger, perseverante e coinvolgente fino al martirio (= significato più alto di testimonianza), trovava il suo fulcro primario ed efficiente nella preghiera e nella adorazione rivolta al Cristo morto e risorto. La preghiera, pratica che trova poco spazio nelle nostre iniziative ecumeniche (sembra che se ne abbia quasi paura per gli effetti che potrebbe produrre!), è per Taizé la chiave di volta per ritrovarsi uniti non solo nell’adorazione ma anche nelle possibili attività sociali. Lo slogan coniato da Frère Roger è stato e rimane «Azione e contemplazione»; e ben s’addiceva, come ancora s’addice, ad una comunità intesa come «parabola di comunione» e luogo di «Riconciliazione».

I grandi raduni, soprattutto di giovani che raggiungevano Taizé da ogni regione della terra, non lo vedevano al centro dell’ampia assemblea orante ma allineato agli altri, tutti disposti intorno alla croce che occupava il vero centro di ogni radunamento. Tutt’al più si poneva al servizio di quanti trasmettevano brevi intenzioni di preghiera stilate su apposite strisce di carta. Guidava nella preghiera e coordinava le preghiere. Quindi, non bagni di folla per lui, ma folle di giovani credenti che con lui adoravano ed esaltavano la Signoria del Cristo riferimento unico e speranza unica per tutti gli uomini.

Da protestante riformato quale sono posso non convenire, tuttavia riusciva a costringere tutti a rivolgersi al Cristo, chiedendo di avere al centro un «Crocefisso», quasi come segno visibile di un centrale punto di incontro. D’altronde, Frère Roger era pur sempre un credente e pastore luterano, espressione, cioè, di una chiesa che, forse unica nell’area protestante, ha sempre conservato il «Crocefisso» come elemento della propria simbologia religiosa e liturgica.Come tra viaggiatori e pellegrini quello che unisce non è la provenienza ma la méta, così a Taizé non interessava e non interessa da dove si proviene, ma a chi ci si rivolge. Da qui il consenso pressoché generale dei partecipanti ai vari raduni e la nostra simpatia e gratitudine.

Anche la Toscana piange frère Roger

Assassinato Frère Roger Schutz di Taizé