Opinioni & Commenti

Scuole islamiche, no ai ghetti

di ALBERTO CAMPOLEONI La questione della scuola islamica milanese di via Quaranta è piombata come un ariete su questo nuovo inizio di anno scolastico. Pone alcune problematiche diverse che vale la pena di evidenziare singolarmente, perché tutte dense di significato e possibili sviluppi.

Una prima questione è quella della legalità, della possibilità che una scuola come quella di via Quaranta esista. È proprio sull’illegalità di questa scuola che poggia la decisione di chiudere l’istituto. Una seconda questione è invece quella dell’integrazione: come integrare ragazzi e famiglie di cultura araba e musulmana (ma anche di culture differenti, si capisce) nella nostra società? Quali strade e quali mediazioni sono possibili? E’ chiaro che la posta in gioco è di grande importanza e certo non si può “liquidare” il problema con uno slogan semplicistico come potrebbe sembrare quello usato: “Tutti alla scuola statale”.

Bisogna quantomeno dare spessore a questa “scuola statale” (meglio “pubblica”), così come non basta dirsi contrari ad ogni soluzione che “isoli” gli studenti islamici se non si indicano ipotesi concrete. E qui sta il punto: le soluzioni concrete si trovano spesso nella mediazione quotidiana tra i principi e la realtà.

Torniamo ai principi. A cominciare dalla legalità, che chiede naturalmente di essere rispettata. La scuola di via Quaranta è illegale oggi come lo era ieri (da anni). Evidentemente si è giunti a un punto di non ritorno che ha provocato una soluzione drastica – la chiusura – tanto più problematica quanto più procrastinata nel tempo e accompagnata da atteggiamenti e dichiarazioni scostanti. Il guaio della situazione attuale è forse quello di non aver trovato per tempo gli “scivoli” opportuni per preparare il momento finale. In realtà negli anni scorsi sono stati avviati diversi progetti, con l’aiuto di soggetti differenti – l’Università Cattolica è stata in prima linea, ma si può ricordare anche il discusso piano di una classe “islamica” al liceo “Agnesi” – senza però risolvere la questione. Forse serviva più tempo (e maggiore coinvolgimento delle famiglie, come chiedeva il cardinale Tettamanzi). Così come ne serviva per dare il via all’iter legalissimo per il riconoscimento paritario della scuola di via Quaranta, che può significare la sua entrata nel sistema pubblico.

La questione più generale dell’integrazione apre scenari ancora più complessi, ma ineludibili. Anzitutto chiede di riflettere sui modelli di riferimento. Si può accettare che in una società multietnica si formino tanti gruppi “chiusi”, separati anche dalle barriere linguistiche? E fino a che punto valorizzare le diversità culturali confina con la ghettizzazione? Siamo ben al di là del solo problema – pur decisivo – della scuola e la questione riguarda un più ampio progetto di dialogo e accoglienza, di superamento di esclusioni e paure da parte sia delle persone immigrate, sia di chi si sente a casa propria. Un progetto che riguarda il sistema dell’occupazione come e forse più quello della casa e dell’organizzazione complessiva della società.

La società italiana dichiara da tempo di incamminarsi in questa prospettiva. Ci prova, con alti e bassi. Per tornare al campo scolastico, ad esempio, si moltiplicano le iniziative di supporto agli alunni stranieri, con percorsi mirati e insegnanti appositi. In questo senso la scuola statale si sta attrezzando al meglio ed è certamente una valida opportunità per tutti, come peraltro dimostrato dalla presenza positiva di tanti allievi non italiani nelle aule di tutta Italia.

Un’altra strada da percorrere è quella di valorizzare sul serio il sistema scolastico pubblico integrato e la possibilità delle scuole paritarie, prevista per legge. Crederci, oltre che dare segnali concreti in ordine al sostegno economico degli istituti non statali, significa impostare le condizioni per un sistema pluralista e plurale, che pure si muove entro “paletti” di riferimento comuni, che sono poi valori da condividere. Chiedere (e po i verificare) alle scuole garanzie in ordine alle strutture, ai programmi, agli insegnanti, all’accessibilità, significa dare fiducia alla possibilità di costruire percorsi educativi e scolastici diversificati ma ugualmente costruttivi, nella logica della società multiculturale. Non si tratta di autorizzare tante isole diverse, ma di creare un arcipelago ben collegato.

Su questa strada c’è ancora parecchio da camminare.

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