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Festival di Venezia: e così ci hanno tolto anche i cowboy

di Umberto FolenaNo, i cowboy per favore no. Almeno quelli dovevate lasciarceli stare. Sappiamo bene che certe cose non bisognerebbe dirle neanche sottovoce, per non beccarsi bordate a palle incatenate e farsi disalberare la tastiera. Ma il regista Ang Lee, vincitore del Leone d’oro a Venezia con il western eterodosso Brokeback Mountain (nella foto i due protagonisti), ha varcato una soglia che non poteva fare a meno di varcare, con quei suoi mandriani gay, pistole e abbracci, vacche e baci.

Conosciamo bene il rischio che corriamo, quella sorta di pregiudizio alla rovescia per cui tutto ciò che riguarda i gay non si tocca, perché non si può e basta. Sappiamo pure che purtroppo i pregiudizi nei confronti dell’universo omosessuale resistono ben saldi, per insipienza di alcuni eterosessuali e autolesionismo di certi omosessuali; e che l’intento di Ang Lee era di rifilare un nuovo, duro colpo a tali pregiudizi, partendo da un’evidenza inconfutabile: tra le migliaia di mandriani che affollarono il west, c’erano sicuramente dei gay. E allora mostriamoli.

Ang Lee gioca sul velluto, nel creare l’effetto straniante. Dici omosessuale al cinema e a chi pensi istintivamente? Ai marinai in bretella e canotta di Fassbinder, ovvio. Dici cowboy e a chi pensi automaticamente? A John Wayne con cappellone e cinturone, che certo non era uno sciupafemmine – non ne aveva neanche il tempo, con tutti quegli indiani e fuorilegge da strapazzare – ma senza dubbio alcuno era eterosessuale, nonostante certi western fossero interpretati quasi esclusivamente da maschi e cavalli. Da oggi non più. E questo dovrebbe preoccupare anche i gay, almeno quelli sensibili al problema del genere e dell’identità. I gay le loro icone le hanno, a bizzeffe, e guai a sfiorargliele.

Ma a noi eterosessuali chi rimane, se ci tolgono i cowboy? Insomma, ci stanno defraudando delle ultime, residue certezze, proprio quando Kevin Costner e Robert Duvall ce le avevano restituite con il bellissimo, crepuscolare Terra di confine, storia di un’amicizia virile, di bisogno di giustizia, di un innamoramento tra un uomo e una donna maturi che si guardano e si sfiorano e si rispettano, con il pistolero Kostner che fa strage dei cattivi senza sbagliare un colpo ma con lei è imbranato quanto e più di noi comuni mortali, ah che sollievo. Ecco, un amore gay tra Kostner e Duvall stonerebbe come un campanaccio da mandriano in un’orchestra d’archi.

E non ripeteteci che i cowboy gay sicuramente sono esistiti. Lo sappiamo. Ma questi di cui parliamo noi, i cowboy che affollano e alimentano il nostro immaginario e fin da bambini sono stati per noi modelli chiari, identità di genere precise, uomini a cui cercare di assomigliare, questi sono i cowboy non della realtà ma di quella sua rappresentazione che si chiama cinema. Sono simboli, quei simboli sempre più rari ma di cui abbiamo estremo bisogno. Toglierci questa certezza sarà forse un necessario atto liberatorio per alcuni, ma è una mezza vigliaccata per moltissimi altri, noi compresi.

E Adesso? Adesso ci rimangono gli agenti segreti. Uno 007 che in Dalla Russia con amore finisce tra le braccia di un colonnello baffuto del Kgb sarebbe duro da digerire e – pure Ang Lee dovrà convenire – altrettanto duro da rappresentare con credibilità. Ma vedrete che succederà. E a quel punto la grande marmellata trionferà. Non saremo più eterosessuali, omosessuali, bisessuali. Non saremo più nessuno.