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Afghanistan, la democrazia ha bisogno di sviluppo
Il presidente Karzai, eletto nell’autunno scorso, è un uomo rispettabile soprattutto per la sua estraneità alle guerre civili del passato e per la sua capacità di compromesso e di mediazione. E, tuttavia, proprio questa sua attitudine titubante e accomodante lo rende più capace di regnare che di governare. Come un re feudale, la sua autorità spesso non esce al di fuori del suo palazzo e della capitale, mentre di fatto nelle province, in particolare quelle del Nord e del NordEst, vige ancora l’arbitrio dei vecchi signori della guerra con la loro autorità tribale e le proprie milizie solo in parte e apparentemente disarmate.
È questa scommessa che si dovrà vincere perché i primi passi verso la democrazia non sono accompagnati da passi decisivi verso lo sviluppo. In Afghanistan – è vero – le donne non sono più murate in casa e i cristiani non sono più messi in prigione. Non sono più vietate mille cose: dai televisori agli aquiloni Oltre 3 milioni di profughi sono ritornati in patria dopo 25 anni di guerra.
Ma il Paese è ora al penultimo posto per i suoi indici di povertà. Distrutta la sua economia tradizionale, dalla transumanza alla irrigazione in un Paese arido, inesistente l’industria per la insicurezza generale, l’Afghanistan sopravvive per due sole risorse, una umiliante e una vergognosa: i 2 miliardi di dollari di aiuto americano all’anno e il primato, questo sì mondiale, nella produzione dell’oppio.